Cultura

Quando i figli della povertà erano ospiti di un’Italia solidale

Quando i figli della povertà erano ospiti di un’Italia solidale

Scaffale «C’ero anch’io su quel treno. La vera storia dei bambini» di Giovanni Rinaldi, pubblicato da Solferino

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 24 novembre 2021

I conti con la storia della Prima Repubblica, cioè con l’epoca che ha preparato – nel bene e nel male – il progresso italiano iniziato nel dopoguerra, non sono stati fatti con cura, per questo si annaspa in miserie di pensiero e di azione.
È quanto mai appropriata quindi l’uscita del volume del ricercatore della memoria popolare Giovanni Rinaldi C’ero anch’io su quel treno – La vera storia dei bambini che unirono l’Italia (Solferino, pp. 320, euro 17,50). Una storia emblematica di una grande solidarietà tra i lavoratori del centro-nord e gli umiliati e gli offesi del mondo della povertà meridionale nell’Italia uscita devastata dal fascismo e dalla guerra. E, naturalmente, ebbe un peso importante il mondo agricolo meridionale, sconfitto dopo le occupazioni delle terre. Furono settantamila i bambini, figli della povertà delle città del Sud e di braccianti meridionali, spesso in galera dopo la dura repressione governativa per le lotte agrarie.

UN MOTO DI SOLIDARIETÀ delle organizzazioni della sinistra col ruolo determinante dell’Udi (Unione donne italiane). Un movimento sociale e politico (tappa importante nell’unificazione culturale del paese) che prevedeva l’ospitalità dei ragazzini nelle case di operai e famiglie delle città del centro-nord e, insieme, un comitato di difesa dei braccianti finiti in carcere dopo la dura repressione di Scelba.
Racconta Dante, figlio di braccianti di San Severo: «Era la prima volta che vedevo un treno e fu un viaggio lunghissimo. Quando arrivammo a Ravenna, a casa della famiglia che ci ospitò, conoscemmo un altro mondo. La signora Liliana al mattino ci faceva trovare la brioche. E chi la conosceva la brioche?».

E AGGIUNGE SEVERINO: «Dopo la repressione della polizia del 23 marzo del 1950, mio padre e mia madre vennero arrestati. In un pomeriggio del maggio successivo partimmo. Ricordo che ad Ancona trovammo un ambiente molto accogliente, pieno di affetto, con tante tazze di cioccolata fumante».
I racconti naturalmente non investono soltanto il mondo dei bambini migranti ma anche un reticolo di rapporti nelle città di partenza e in quelle di arrivo. Dal carcere di Lucera scrive Elvira al figlio ospitato al nord: «Ho ricevuto le tue due cartoline e una lettera, ma non mi hai fatto sapere se nella mia posta hai trovato le foglie di rosa che io ti ho mandato».

«OGNI BAMBINO, con gli altri, ha vissuto una grande storia collettiva, ma anche affrontato la sua specifica storia personale, che conserverà nella memoria per sempre», narra l’autore Giovanni Rinaldi. È un libro avvincente come un romanzo il suo, affollato di passioni calde: la solidarietà umana e politica, la grande partecipazione democratica. La presenza della società insomma. E, non a caso, uno dei protagonisti della storia mette il dito nella piaga: «Oggi è difficile capire come si possa fare un gesto del genere. L’Italia è cambiata, ha una memoria storica molto corta e dimentica facilmente i sacrifici di chi ha costruito la società civile». .

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