Quando gli italiani continuano a partire
Scaffale Il saggio «Storia sociale dell’emigrazione italiana, dall’Unità a oggi» di Enrico Pugliese e Mattia Vitiello, pubblicato dalle edizioni del Mulino. «I cicli» del fenomeno e il nesso con le trasformazioni del paese
Scaffale Il saggio «Storia sociale dell’emigrazione italiana, dall’Unità a oggi» di Enrico Pugliese e Mattia Vitiello, pubblicato dalle edizioni del Mulino. «I cicli» del fenomeno e il nesso con le trasformazioni del paese
L’Italia è un paese di immigrazione, ma continua ad essere anche un paese di emigranti. Secondo i dati ufficiali dell’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero, attualmente ci sono circa 6 milioni di connazionali che vivono e lavorano nei paesi da sempre mete di espatrio. In testa ai paesi di destinazione: la Germania e l’Argentina.
L’Europa, dopo la grande fase storica dell’ammerika (circa 50 milioni verso gli Usa), ora è diventata la meta prescelta, anche se comunità italiane continuano ad essere presenti negli Stati Uniti e perfino in Oceania.
SUGLI SPALTI DELLO STADIO di Berlino che ha visto l’esclusione della nazionale di calcio per i piedi della Svizzera c’era tanta gente arrivata dall’Italia, ma c’erano soprattutto tanti tifosi italiani che risiedono per motivi di lavoro sia nella federazione elvetica, sia in Germania.
E chi continua a emigrare, in particolare dalle regioni del Sud, ma anche dalla Lombardia, non è solo «un cervello in fuga». Nella folta schiera degli emigranti ci sono infatti anche molti lavoratori poveri o comunque persone che nel nostro paese non hanno alcuna possibilità di lavorare. L’emigrazione di qualità dei ricercatori e degli studiosi quella che in genere fa più notizia rappresenta un’esigua minoranza.
Il quadro della situazione viene descritto sulla base di studi approfonditi e una solida documentazione nel libro di Enrico Pugliese e Mattia Vitiello, Storia sociale dell’emigrazione italiana, dall’Unità a oggi appena uscito per le edizioni de Il Mulino (pp. 255, euro 22).
IL TITOLO CORRISPONDE al contenuto. La ricostruzione della storia dei vari flussi di emigrazione viene infatti legata all’evoluzione sociale ed economica dell’Italia, dall’Ottocento ad oggi, utilizzando il metodo della «sociologia storica». «La nostra analisi – scrivono i due autori – si poggia sulla considerazione che le trasformazioni a livello economico e sociale riguardanti l’Italia nei diversi momenti della sua storia hanno sempre avuto riflessi significativi sull’emigrazione attivando le correnti migratorie e influenzandone la portata e la composizione, nonché le aree di provenienza e destinazione».
Oltre al nesso tra il fenomeno migratorio e le trasformazioni del paese, Pugliese e Vitiello adottano una chiave interpretativa precisa e che ha suscitato anche un certo dibattito tra i sociologi e gli esperti. Lo schema adottato è quello dei «cicli» dell’emigrazione che, essendo legata alla storia del paese, non è mai uguale a sé stessa.
Per quanto riguarda l’Italia, sempre secondo Pugliese e Vitiello, i cicli migratori sono tre, intendendo con questo termine «il periodo di tempo in cui i processi migratori riguardanti un determinato paese presentano alcune caratteristiche che persistono nel corso della sua durata e che sono sostanzialmente diverse da quelle di altri periodi». E queste «caratteristiche» riguardano in particolare le principali aree di destinazione, quelle di provenienza, la determinazione sociale di chi emigra, le collocazioni occupazionali, il progetto migratorio dei protagonisti dei diversi flussi e infine (dato molto importante e spesso trascurato) «gli effetti e le implicazioni generali sui contesti sociali di provenienza».
IL PRIMO CICLO è quello della «Grande emigrazione» che prese il via quando l’Italia non era ancora stata unita. I primi movimenti migratori di una certa rilevanza cominciarono ad affermarsi nelle regioni settentrionali dalla fine del XVII secolo, per poi consolidarsi nei secoli successivi, anche se si trattava ancora di forme di emigrazione temporanea. Si trattava comunque di milioni di partenze che hanno modificato anche le curve demografiche.
Il secondo ciclo, molto diverso dal primo e dall’interludio che lo ha seguito, è cominciato nel secondo dopoguerra e si è prolungato sino alla fine degli anni Settanta: si trattò di una emigrazione significativa (oltre 7 milioni) ma con saldi migratori bassi dato l’elevato turnover. Il terzo ciclo, che prese avvio all’inizio degli anni Ottanta, riporta al centro dell’attenzione un fenomeno che sembrava ormai superato. La grave crisi economica e l’arretratezza endemica delle regioni meridionali avevano però nel frattempo riattivato le partenze, anche se pochi se ne sono accorti.
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