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Quando «Giulio Cesare» di Handel si fa cupo paradigma di vendetta

Quando «Giulio Cesare» di Handel si fa cupo paradigma di vendettaUna scena di «Giulio Cesare»

A teatro In scena a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées, la regia di Damiano Michieletto sottolinea il carattere tragico dell'opera, con Philippe Jaroussky a guidare l’orchestra

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 4 giugno 2022

Quando il despota Tolomeo crolla ucciso da Sesto, la sorella Cleopatra, che pure si prepara a trionfare al braccio di Cesare, si arresta per un istante a contemplare dolorosamente nel cadavere del fratello l’imminente tramonto del millenario regno d’Egitto. Non è l’unico cupo presagio che allunga le sue ombre nella storia di Giulio Cesare in Egitto di George Frideric Handel, messo in scena da Damiano Michieletto a Parigi l’11 maggio scorso al Théâtre des Champs-Elysées, di nuovo in scena all’Opera di Montpellier dal 5 all’11 giugno. L’opera è attraversata dall’intrico di fili di un destino inesorabile, rossi come il sangue di Pompeo che da principio macchia l’ordito della complicatissima vicenda. Ne sono il simbolo le parche che compaiono negli snodi drammaturgici principali, inquietanti figure nude ispirate alla tavolozza di Hodler o di Segantini: il trionfo finale di Cesare è anche il suggello di vendetta di Roma, con Pompeo che da vecchio esangue si fa statua eroica sotto gli occhi del pubblico.

LO SPETTACOLO di Michieletto si ambienta nel candore geometrico delle scene di Paolo Fantin e sottolinea il carattere tragico dell’opera, calcando sui tratti più violenti della trama politica, lontano dalle trovate umoristiche che spesso movimentano tante recenti regie delle opere barocche. Se non eguaglia la corrosività politica di Agrippina, il fascino protoromantico di Ariodante, le atmosfere magiche di Alcina, Giulio Cesare ha trionfato a Londra nel 1724 e poi sin dagli albori della rinascita handeliana per la florida ricchezza d’invenzioni e virtuosismi e per l’articolazione del formidabile materiale all’interno di una calibrata drammaturgia musicale.
Affidata all’Ensemble Artaserse, con Philippe Jaroussky, sul podio per la prima volta in veste di direttore, l’opera procede con fluidità, dipanata con la cura sensibile alle necessità delle voci sulla scena che un artista come Jaroussky non può non conoscere nei dettagli. Lascia a più riprese sbalorditi per slancio virtuosistico, precisione e eleganza di linea la Cleopatra di Sabine Devieilhe, così perfetta nella resa del suo sensuale personaggio che le si perdonano i ricorrenti sopracuti da Lakmé, considerata poi la classe con cui li controlla. Tormentato nella sua deriva solipsistica verso la sconfitta il Tolomeo del controtenore Carlo Vistoli è eccellente nel canto e sulla scena. Il suo Tolomeo ricorda Dirk Bogarde in Modesty Blaise di Losey e si confronta con il Sesto fiammeggiante di puntature acute di Franco Fagioli, ragazzetto in pullover da tennis costretto dalla vita a crescere in fretta.

TRAGICAMENTE umana più che altera la Cornelia di Lucile Richardot. Felicemente inappuntabile nello sbalzo vocale della grandiosa parte del protagonista il mezzosoprano Gaëlle Arquez, meno coinvolta sul piano della recitazione. Di rilievo le parti di contorno, con le relative arie aperte. Il pubblico parigino ha gradito soprattutto la resa musicale e vocale, decretando un trionfo per cantanti e direttore.

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