In questo tempo di falsi, mistificazioni, scherzi e doppi o tripli rovesciamenti di senso, incontro Angelo pasquini, sceneggiatore, scrittore, inventore dell’Immobilismo Molisano, cofondatore di Zut e del Male, di cui era il responsabile delle pagine culturali, un vero esperto in materia di satira, dadà, surrealismo, situazionismo… L’occasione dell’intervista nasce da un paginone doppio del Male esposto in una bacheca nella mostra su Calvino alle Scuderie del Quirinale dal titolo «L’Universo è un falso» in cui si pubblica un capitolo del romanzo, ancora inedito, di Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore. Angelo Pasquini ha lo sguardo sornione e il sorriso un po’ trattenuto di chi osserva la realtà con lo sguardo obliquo, ironico, sguincio, di chi vede anche cosa c’è dietro o di lato, sopra o sotto l’apparenza e la svela con l’arma sottile e tagliente della satira. Gli chiedo di raccontarmi:
«Quando sono andato a vedere la mostra su Calvino qualche giorno fa sono rimasto piacevolmente sorpreso nel trovare alla fine del percorso questo numero del Male del giugno 1979 in cui era pubblicato un capitolo inedito del suo ultimo romanzo».

Lo avevate contattato voi?
No, Era stata una curiosa e stravagante iniziativa dello stesso Italo Calvino, uno dei più importanti scrittori italiani dell’epoca, di presentare nel 1979 un’anticipazione del suo romanzo in uscita Se una notte d’inverno un viaggiatore sul Male, il settimanale satirico più famoso, più controverso e anche il più denunciato e sequestrato d’Italia. Ne aveva parlato con Vincenzo Sparagna a Parigi e dopo un po’ di tempo ricevetti una sua telefonata che mi dava appuntamento al Centro Culturale Francese dove teneva una conferenza alla fine della quale mi consegnò questo dattiloscritto, o forse era una bozza non ricordo, il tutto con un’aria molto misteriosa, ne parlammo appena molto brevemente. Noi del Male eravamo molto contenti di questa sua strana scelta anche se coscienti della possibilità più che concreta che fosse preso per un falso, anzi proprio giocando su questa ipotesi nella presentazione al testo di Calvino, l’autore o gli autori (scrivevamo spesso a quattro mani) premette una citazione di Aristotele (vera? falsa?) assolutamente calzante: «Meglio un verisimile impossibile che un possibile inverisimile» per poi proseguire con : « …il contenuto inquietante, il gioco ossessivo fra realtà e simulazione ci hanno allarmato e prima di pubblicarlo vorremmo mettere il lettore in guardia sulla sua autenticità…»

Nessuno finora, almeno mi pare, degli studiosi dello scrittore si è domandato il perché di quella strana decisione. Bisogna dire che il Male all’epoca vendeva circa 80.000 copie di media, era il terzo settimanale italiano per vendite, ma non credo che la scelta di Calvino potesse essere dettata dalla volontà di avere il massimo della pubblicità, non ne aveva certo bisogno. D’altra parte conosceva bene il Male e si rendeva conto di far finire il suo testo dentro un contenitore destituito di ogni attendibilità (eravamo famosi soprattutto per la confezione di spettacolari falsi di altre testate giornalistiche), per cui il risultato più probabile è che anche il suo testo sarebbe stato scambiato per un falso. Il che puntualmente avvenne. Alla fine, nessuno, per quanto ne so, prese per buono quel preteso capitolo del romanzo, non ci furono articoli di giornale che mettessero in evidenza l’uscita in anteprima di un testo di Calvino. Nessun effetto pubblicitario per quello scoop, nessun beneficio dal punto di vista editoriale, anche se il romanzo uscì poco dopo quella «presentazione»: la stampa della prima edizione è infatti del giugno 1979, lo stesso mese dell’uscita del testo sul nostro giornale.

Allora qual era l’interesse di Calvino per quella strana contaminazione tra la sua letteratura di alto prestigio e quella specie di divertentissimo e popolare circo Barnum, che era il vostro giornale?

La risposta sta prima di tutto nel fatto che evidentemente, come molti suoi colleghi artisti e scrittori, – da Umberto Eco a Leonardo Sciascia, che collaborarono ad alcuni nostri falsi – anche Calvino amava il Male. In secondo luogo bisogna tener conto del fatto che Calvino amava la sperimentazione e le sfide letterarie (faceva parte con Raymond Queneau e Perec dell’Oulipò, il Laboratorio di letteratura potenziale) ed era evidentemente affascinato dal tema del falso, che ricorre proprio in quel capitolo del romanzo. Ci sono infatti degli splendidi passaggi sulla falsificazione, oltretutto molto attuali, che a mio avviso spiegano meglio di ogni altra cosa perché Calvino abbia voluto pubblicare il capitolo proprio sul Male, come questo: «La controrivoluzione e la rivoluzione combattono tra loro a colpi di falsificazioni; il risultato è che nessuno può essere sicuro di ciò che è vero e di ciò che è falso, la polizia politica simula azioni rivoluzionarie e i rivoluzionari si travestono da poliziotti». Sarà un caso, ma nel maggio di quello stesso anno, cioè un mese prima, più da situazionisti che da rivoluzionari, avevamo arrestato Ugo Tognazzi travestiti da carabinieri.

E quell’avvertimento al lettore che Calvino inserisce verso la fine del capitolo «Sta’ attento, Lettore, qui tutto è diverso da come sembra, tutto è a doppia faccia», poteva funzionare anche come monito per i lettori del Male, sottoposti settimanalmente a una sorta di doccia scozzese tra il vero e il falso delle nostre affermazioni. Ecco, in quel verisimile impossibile si nascondeva l’essenza del nostro lavoro creativo (appunto, Tognazzi capo delle Brigate Rosse) e forse Calvino lo aveva capito meglio di ogni altro. Qualche anno prima, nel 1976, con Piero Lo Sardo e pochi altri compagni del movimento avevamo fondato il «Centro diffusione notizie arbitrarie».

Molto attuale vista la quantità di fake da cui siamo subissati.
Le fake news sono una vecchia storia. Forse il caso più famoso è quello della falsa Donazione di Costantino, un documento apocrifo dell’8° secolo con cui l’imperatore avrebbe concesso al Papa la giurisdizione sull’intero Impero Romano d’Occidente. L’esempio più inquietante è certamente quello dei falsi Protocolli dei savi Anziani di Sion, libello antisemita che Umberto Eco analizza nel suo interessantissimo saggio «Sei passeggiate nei boschi narrativi». Il caso recente più eclatante e dalle conseguenze tragiche è quello del falso documento esibito da Colin Powell alle Nazioni Unite nel 2003, nel quale si sosteneva che Saddam si stava rifornendo di materiale nucleare, e che servì al presidente Bush per avviare la sanguinosa guerra all’Iraq. Le attuali fake news corrono liberamente sul web a un ritmo travolgente, condizionano l’opinione pubblica e sono una risorsa fondamentale nelle competizioni economiche, politiche e militari tra gli stati.

Non hanno niente a che fare con la funzione satirica del falso, con l’uso che ne avete fatto ai tempi del Male.
La falsificazione dei principali giornali, è stato forse lo strumento più tagliente e efficace della satira del Male. Una tecnica perfezionata davvero in modo straordinario, che ha dato massimo risalto e popolarità al giornale. Questa tecnica era basata sul détournement, cioè sul riuso del linguaggio e dei concetti del pensiero dominante in chiave critica, irrisoria e provocatoria. Il primo esempio di questo genere di satira, che io sappia, è un testo del 1729, il manifesto scritto da Jonathan Swift all’epoca di una grande carestia irlandese: la «Modesta proposta per uscire dalla povertà, mangiando i bambini».
In quel periodo – fine anni Settanta, inizio anni Ottanta- non siamo i soli a usare il falso in forma satirica. Lo usano gli autori di National Lampoon, magazine satirico americano, lo usano sporadicamente anche quelli di Charlie Hebdo. Il Male però è l’unica rivista di satira ad usarlo in modo sistematico, a farne una sorta di canone satirico, a cui il giornale si uniforma, non solo nei falsi veri e propri, ma come forma espressiva, nella scrittura più che nel disegno. Gli scrittori del Male non firmano quasi mai quello che scrivono, o usano degli pseudonimi, spesso più di uno. Assumono identità diverse, scrivono in prima persona sotto falso nome, o si mascherano dietro una falsa obiettività giornalistica. Sotto questo aspetto il Male è la parodia di un settimanale, è la schizofrenia applicata alla satira e al giornalismo in generale. Quest’annullamento della soggettività degli autori in una moltiplicazione di soggetti, di caratteri, di personaggi veri e presunti, assimila il lavoro satirico praticato nella redazione del Male alla scrittura teatrale o cinematografica. Il mondo del Male era popolato di maschere, come nella commedia dell’arte. I personaggi pubblici, in particolare i politici, erano le nostre marionette con le quali incantavamo il «rispettabile pubblico» con il nostro spettacolo a puntate. Quella del Male non era una forma di intrattenimento, era guerriglia comunicativa. Questo tipo di lavoro ha il suo acme nell’ideazione e nella realizzazione dei famosi «falsi» quotidiani.

Poi ci fu il famoso caso dell’«Immobilismo Molisano» movimento d’avanguardia del primo ‘900 da voi reso noto al pubblico.
La «riscoperta» dell’«Immobilismo Molisano» avvenne sulle pagine del Male nell’ottobre del 1978. L’ «Immobilismo», come fu poi chiamato più semplicemente tra gli adepti, si inseriva a suo modo in quella schiera di «falsi» più eclatanti e popolari che il Male aveva cominciato a collezionare dai suoi primi numeri. Una foto «d’epoca» ritrae, nello scenario autunnale del giardino all’italiana di Villa Sciarra, la redazione quasi al completo immortalata nei panni di quegli artisti fioriti nella Campobasso di inizio secolo.

Tra i Padri dell’Immobilismo in quel Molise così inaspettatamente cosmopolita troviamo: il fondatore Giuseppe Salsicci, (io), «un accanito cancellatore, che per trent’anni, furiosamente, cancellò tutto ciò che andava scrivendo», il dottor Ellezer Aschw (Jiga Melik) «farmacista criminale», il pittore Oliviero Anatrini (Roberto Perini), autore della famosa «mucca immobile», l’ineffabile Aleardo Solari, bollato come «gaudente e minchione» (Piero Lo Sardo), il cantante muto Rauco Rauchi (Vincino), Egisto Baracazzi, decoratore di scodelle (Iacopo Fo), e tanti altri. Se c’è una frase che andrebbe posta come epigrafe a una «Storia dell’Immobilismo Molisano» ancora da scrivere è quel «Perché star fermi quando si può essere immobili?», che Giuseppe Salsicci pronunciò in punto di morte. Ma non va dimenticato l’urlo di Anatrini nell’atto di ricevere la cartolina-precetto, urlo che si contrappone alla contemporanea, e fatale, euforia del futurista Boccioni nei confronti della Grande Guerra appena iniziata.

È chiaro che gli Immobilisti si contrapponevano ai Futuristi; ma quale dei due movimenti sia nato per primo è ancora argomento di disputa. È chiaro però che Salsicci e i suoi erano coscienti di rappresentare quel carattere italiano profondamente «immobilista», che è la chiave per interpretare gran parte della nostra storia, fino ad oggi. Si può dire che si sentissero a loro modo, e forse non senza ragione, più futuristi dei futuristi stessi.

Nel vostro caso l’intento satirico era evidente mentre adesso le cose sono cambiate si è perso il senso dell’ironia, ci si autocensura in nome del politically correct
Sì ormai gli scrittori hanno dei confini al di là dei quali non possono andare in realtà perché le stesse case editrici seguono questi parametri.

Immagino sarebbe impossibile fare un giornale come il Male adesso.

Mi pare difficile per il clima attuale, che poi è paradossale, quella era un’ epoca assai intollerante abbiamo avuto una gran quantità di sequestri, denunce e anche qualche arresto quindi non è che la libertà di stampa fosse così effettiva, adesso secondo me ci sono altri motivi intanto un deterrente è il fatto che mentre noi avevamo le denunce penali adesso si va sulle cause civili e sulle richieste di risarcimento e quindi con la spada di Damocle della richiesta milionaria per oltraggio o quello che è bisogna stare molto attenti. La satira in particolare ha vissuto un’epoca allucinante con l’episodio tragico di Charlie Hebdo, lì hanno pagato con la vita delle vignette il che è pazzesco, penso che questa specie di terza guerra mondiale a pezzi, come dice il Papa, sia passata anche attraverso questi episodi di terrorismo, parlo delle vignette su Maometto che hanno suscitato un’ira e delle reazioni spaventose nel mondo arabo e dall’altra parte il disegnatore del Guardian è stato licenziato perché ha fatto una vignetta su Netanyahu.

E cosa mi dici dello scherzo telefonico fatto alla nostra Premier?
Anche sugli scherzi telefonici ci sono dei precedenti uno in particolare fatto da Bifo (Franco Berardi ) Gli telefono e mi faccio raccontare: Bifo racconta: «il 17.02.1977 ero a Radio Alice e avevo letto su una rivista, credo fosse Panorama, il numero della segreteria personale di Andreotti e così, d’istinto senza prepararmi molto, chiamai in diretta dalla radio e mi spacciai per Umberto Agnelli, che era senatore della D.C., mi passarono subito Andreotti ed io gli dissi che ero veramente molto preoccupato da quel che succedeva a Torino che bisognava fare qualcosa per fermare scioperi e manifestazioni e infatti anche Andreotti convenne che la situazione era grave e poi gli dissi sa cosa urlano gli operai in corteo? «Andreotti Andreotti tu sei pazzo la classe operaia non pagherà più un cazzo» a quel punto Andreotti capì lo scherzo e attaccò».

Angelo Pasquini durante il Covid ha pubblicato un’esilarante libro di poesie satiriche dal titolo Globangolo fu il viro e accipiglioso ed. Sossella 2021, con copertina di Luigi Serafini, è composto da 25 poesie scritte in lingua inventata «extra-vagante, centrifuga, anti-convenzionale e spesso illegale» corredate da note utili alla comprensione e firmate dal misterioso, eccentrico e visionario Ernesto F. Puntigli.