Lavoro

Qualche proposta per un piano del lavoro

Qualche proposta per un piano del lavoroUn immagine di Harold Lloyd in "Preferisco l'ascensore!"

Ridurre l’orario per occupare più persone, redistribuire il reddito e le opzioni tra i più anziani e i giovani, coinvolgere i neet. Per creare posti sono necessari innovazione e politiche sociali

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 7 febbraio 2014

Un piano del lavoro dovrebbe tenere conto dei seguenti principi.

1 – Una società incapace di connettere la presenza di risorse inutilizzate – i disoccupati- e di bisogni insoddisfatti presenta disfunzioni socialmente assurde. Va ristabilita tale connessione, correggendo i meccanismi che determinano tale assurdità.

2 – La disoccupazione giovanile non è altro che un aspetto particolare della disoccupazione. Maggiore occupazione si giustifica solo se vi è maggiore produzione di merci o servizi, sia essa pubblica o privata. Esisterebbe un altro modo per occupare tutti: coinvolgere un maggior numero di persone riducendo la durata del lavoro per tutti. Sull’efficacia di un tale cambiamento nel lungo periodo non vi sono dubbi storici. Sulla sua praticabilità immediata esistono ostacoli, connessi all’internazionalizzazione, ad opportunismi, a valori ed ideologie, difficilmente emendabili.

3 – Attività aggiuntive in campo privato presuppongono maggiore domanda. Se ciò non può essere ottenuto – dati i vincoli europei – da una espansione generalizzata a livello europeo, non resta che operare attraverso una maggiore offerta da far assorbire da soggetti esteri (esportazioni, turismo), dai soggetti italiani più ricchi, dallo Stato attraverso rimodulazioni della spesa. Sarebbe possibile e preferibile ottenere una maggiore domanda interna da parte dei più poveri, attraverso una redistribuzione dei redditi e della ricchezza (ma questo è forse troppo di sinistra per passare in regime di alleanze).

4 – È possibile redistribuire le opzioni di lavoro dai più anziani ai più giovani. Nel realizzare tali politiche occorre identificare con chiarezza le azioni discriminatorie, preoccupandosi di minimizzarne i danni.

5 – Il resto è politica sociale. Occasionalmente si possono prendere due piccioni con una fava (ma conservando chiarezza). Sarebbe ad esempio una politica al contempo economica e sociale una politica che riuscisse a rendere complementari il lavoro dei giovani con l’esperienza e la capacità formativa che hanno lavoratori più anziani. Impegni volontaristici in iniziative innovative è pressoché indispensabile, visto che si tratta di operare in campi nei quali mercato e soggetti pubblici – così come sono al momento – hanno fallito. Ma proprio per questo devono essere fatte chiarezze. Se viene coinvolto lavoro giovanile nelle attività di produzione per il mercato, esso non deve essere sottopagato. Se vengono usati pensionati la cui pensione supera una certa soglia, la loro partecipazione non deve essere remunerata al di là dei rimborsi-spesa. Pagamenti ai giovani al di sotto delle remunerazioni di mercato possono giustificarsi solo nel quadro di attività del servizio civile.

6 – Maggiore attività implica creazione preventiva di imprese nel campo privato, di task forces strutturate intorno a piani e progetti nel campo pubblico. Nelle attività aggiuntive moderne non viene mai usato solo il lavoro. Si pensi al recupero del territorio, dove non si lavora solo con strumenti elementari. Esistono attualmente in Italia miriadi di macchinari specializzati inutilizzati, nella sfera pubblica e nella sfera privata. Occorre censirli e renderli disponibili, assicurando la formazione di addetti aggiuntivi.

7 – Il costo reale delle attività aggiuntive è nullo, indipendentemente dal costo finanziario. Se si fa lavorare qualcuno nel campo privato senza sottrarre occupazione dallo stesso campo, e quindi senza perdere occupazione nelle produzioni di mercato, si ha una aggiunta netta al pil. Lo stesso vale se per le attività aggiuntive si ristruttura il lavoro dei funzionari pubblici in modo da non deteriorare i servizi erogati. Queste proposizioni valgono anche se spesso i metodi di registrazione del valore aggiunto non consentono nel campo pubblico di far riflettere la maggiore produzione nella contabilità nazionale.

8 – Per avere produzione aggiuntiva occorre innovazione e non tagli salariali, dai quali non ci si possono attendere risultati occupazionali rilevanti (le imprese non assumono se non pensano di vendere, indipendentemente dal costo del lavoro, né si può pretendere di rincorrere paesi che hanno salari meno della metà dei nostri).

9 – Per avere innovazioni occorre forzare l’assunzione di manodopera a più elevato livello di conoscenza. Organizzazioni che hanno manodopera di qualità appena sufficiente a produrre quanto già stanno producendo sono cieche, incapaci di percepire le opzioni di innovazioni e di svilupparle. Non è detto che solo le grandi imprese possano fare ricerca; la stessa possibilità è aperta alle piccole se agiscono in forma consortile. La ricerca deve tuttavia essere esplicita, associata ad uno status particolare degli addetti alla ricerca.

10 – I giovani che non lavorano e che non studiano devono essere comunque coinvolti e motivati ad agire in attività che restituiscano loro motivazioni positive. Il capitale umano non usato si deteriora e non si completa. I disoccupati abbandonati a se stessi perdono motivazioni e le loro abilità cognitive peggiorano. Per essi deve restare aperta la strada del servizio civile, trovando nuovi piani di cooperazione con soggetti non solo del terzo settore ma anche pubblici.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento