Europa

«Qualche progresso, ma poco ambizioso»

«Qualche progresso, ma poco ambizioso»L'ingegnere chimico Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto club

Intervista Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club. «L’Italia si presenta divisa ma dovrà parlare con una sola voce»

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 23 gennaio 2014

«Tutt’altro che ambiziosi», gli obiettivi climatici ed energetici fissati ieri dalla Commissione europea confermano però la traiettoria verso il contenimento del global warning e verso la «trasformazione radicale del sistema elettrico». Non solo: il fatto che l’Europa abbia fissato autonomamente i propri target per il 2030 pone l’Unione per una volta in un ruolo di avanguardia internazionale. Perché, «come accadde con Kyoto, gli Stati uniti e la Cina non potranno fare altro che adeguarsi quando a Parigi nel 2015 si discuterà la posizione mondiale sul clima». È un giudizio in «chiaro scuro», dunque, quello che Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista QualEnergia, dà al nuovo pacchetto lanciato ieri dal presidente Josè Barroso.

 

Entro il 2030 Bruxelles chiede la riduzione del 40% di gas serra e almeno il 27% di energia (compresa quella per i trasporti) prodotta da fonti rinnovabili. Il suo giudizio?

L’obiettivo del 40% credo sia un buon risultato. Non era del tutto scontato perché la Commissione era divisa e c’erano forti pressioni contrarie della Confindustria europea – e anche di quella italiana, nel nostro piccolo, che non conta molto a livello comunitario. Si è temuto che si potesse arrivare al 37% e sarebbe stato davvero un target al ribasso: consideri che oggi l’Italia, complice la crisi, ha quasi raggiunto l’obiettivo del 2020 (siamo al -18%).

E in Germania la energiewende, la svolta energetica, poteva essere fermata. Barroso però ha spinto per una decisione unanime e quindi siamo rimasti sulla buona strada. La riduzione delle emissioni è molto importante perché da questo dato si muovono tutti gli altri strumenti ambientali. Sulle rinnovabili invece non siamo molto contenti. Le fonti alternative stanno correndo e il 27% è un obiettivo davvero poco ambizioso, raggiungibile senza alcuno sforzo rispetto al tendenziale. Tradotto nel solo sistema elettrico, escludendo i trasporti e il calore, significa che bisognerà produrre poco più del 45% di elettricità da rinnovabili e l’anno scorso l’Italia ha coperto con quelle fonti già un terzo del fabbisogno di energia elettrica.

Per le fonti alternative però il vincolo è solo comunitario, non per gli Stati membri.

La mancanza del vincolo per i singoli Paesi fa perdere un po’ di mordente perché attualmente secondo il burden sharing il carico degli obiettivi 20-20-20 comunitari è distribuito per ciascuno Stato in base a parametri che in realtà non scontentano nessuno. Se non c’è questa ripartizione, il rischio è che alcuni come la Germania faranno di più e altri come i Paesi dell’est faranno molto poco. Comunque questa è una rivoluzione: le rinnovabili diventano il perno di tutto il sistema elettrico.

Secondo gli ambientalisti e i lobbisti della green economy, i target necessari erano -55% di emissioni, +45% di energia rinnovabile e -40% di consumo energetico. Manca peraltro questo terzo obiettivo.

Secondo me il Parlamento europeo, che interverrà sul pacchetto a febbraio, alzerà la quota. Già la commissione Energia e anche quella Ambiente avevano votato per obiettivi più ambiziosi: 40-30-40. C’è poi un terzo passaggio: a marzo si pronunceranno i governi degli Stati membri. E alla fine si dovrà andare a una mediazione tra queste tre posizioni. I prossimi, dunque, saranno mesi caldi, da questo punto di vista. Sul consumo, il commissario europeo Oettinger ha preferito rinviare la decisione a dopo giugno perché per quella data ogni Stato dovrà aver recepito la direttiva sull’efficienza energetica che stabilisce una buona road map. Per la riqualificazione urbana, per esempio, si fissa il target del 3% sull’edilizia governativa. Oggi, su tutto il patrimonio edilizio, l’Italia è all’1%, mentre la Germania punta già al 2%.

Ma il settore industriale che ha a che fare con l’efficienza energetica è molto variegato e si presenta diviso, meno capace di fare lobby rispetto agli energivori, anche se pressioni ce ne sono state comunque.

Squinzi in una recente lettera inviata a Enrico Letta ha attaccato il ministro Orlando per il suo supporto a quelli che definisce «obiettivi ambiziosi». Che peso avranno la Confindustria europea e quella italiana sulla decisione finale?

In Europa il mondo industriale è diviso: mentre Confindustria italiana e quella tedesca chiedono un ammorbidimento delle regole, alcune società inglesi come Centrica, LloydsTSB, Shell, Tesco e Vodafone si schierano dalla parte opposta, anche per stimolare maggiormente l’attività della green economy e creare occupazione. La divisione maggiore era sulle rinnovabili. Da una parte paesi come la Polonia, che punta sul gas, o la Gran Bretagna che solo un paio di mesi fa ha fatto un accordo con l’Edf per il rilancio della centrale nucleare di Hinkney point, concordando però di pagare alla società produttrice francese un prezzo, per kwh generato, doppio rispetto a quello del mercato inglese. Sul versante opposto, invece, si è schierata la Germania che ha spinto molto sulle rinnovabili.

E l’Italia?

La Confindustria italiana cercherà di pesare sul nostro governo. Tutto qui. E l’Italia già si è presentata spaccata: il ministro Orlando insieme ai suoi omologhi tedesco e francese si è schierato sulle posizioni più avanzate, mentre il ministro Zanonanto su quelle più conservatrici. Ma, nelle prossime settimane, è evidente che l’Italia dovrà parlare con una sola voce.

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