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Qualche isola narrativa in un mare di interventi per orientare il gusto

Qualche isola narrativa in un mare di interventi  per orientare il gusto

Classici francesi Una nuova edizione dei "Saggi" di Proust: unica novità di rilievo, rispetto alla edizione Einaudi del 1984, alcuni «frammenti narrativi» recuperati dai «Cahiers Sainte-Beuve»: la serie dei quaderni che l'autore della "Recherche" elaborò attorno al 1909

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 20 dicembre 2015

Interrogandosi sulle caratteristiche del Saggio moderno, Virginia Woolf osservava nel 1925 che, in quanto genere letterario, il saggio può prendersi la libertà di essere «corto o lungo, serio o scherzoso», e può decidere di parlare di «Dio e Spinoza», così come delle «tartarughe». Non sappiamo se Proust sarebbe stato disposto ad approvare margini di manovra tanto ampi, certo è che il titolo del volume che ripropone oggi i suoi Saggi (a cura di Mariolina Bongiovanni Bertini e Marco Piazza, Il Saggiatore, pp. 974, euro 75,00) rischia di costituire la fonte di un possibile equivoco. Non tutti i testi presenti nella raccolta hanno infatti il diritto di essere catalogati come saggi: accanto a prove di più ampio respiro – come il Contro Sainte-Beuve – sfilano nel libro anche articoli, recensioni, prefazioni, cronache mondane e scritti d’occasione; e ancora studi sull’arte, preziose interviste, risposte a inchieste di varia natura, assieme a note di letteratura, costume e pittura. Se da un lato questi brani ci consentono di pedinare Proust lungo l’arco della sua carriera, dall’altro, nella loro varietà, finiscono per trascinare alla deriva chiunque non conosca lo scrittore o non abbia mai affrontato il gigantesco romanzo – la Recherche – che assorbì l’ultimo quindicennio della sua esistenza.
Più proficuo sarebbe stato, probabilmente, mantenere il titolo Scritti mondani e letterari, con cui la raccolta uscì nel 1984 presso Einaudi e di cui questa edizione è, per più di nove decimi delle sue mille pagine, una ristampa, che porta invariate tanto l’introduzione generale quanto la scelta, le note e le traduzioni dei testi. La novità di rilievo è invece costituita dalla sezione che presenta per la prima volta al lettore italiano, con l’introduzione e la cura di Marco Piazza, alcuni «frammenti narrativi» recuperati dai cosiddetti Cahiers Sainte-Beuve: una serie di quaderni che Proust elaborò attorno al 1909, in concomitanza a uno studio critico su Sainte-Beuve.

Fino ad ora, siamo stati abituati a considerare il Contro Sainte-Beuve come un insieme di prose di natura saggistica, incompiute ma funzionali alla Recherche: una sorta di «anticamera» – suggeriva Francesco Orlando – dove Proust, mentre denuncia gli errori del metodo critico di Sainte-Beuve, getta le fondamenta teoriche di un’estetica che poi ritroveremo a sostenere l’immenso edificio del suo romanzo.
Attraverso i frammenti inediti dei Cahiers, vediamo invece affiorare nel cuore del progetto saggistico una serie di isole narrative, pronte innanzitutto a testimoniarci come la forma saggio, a una certa altezza, debba essersi rivelata a Proust uno strumento inadeguato, limitante e incapace di non lasciarsi sommergere dalla portata invasiva della scrittura romanzesca.

Tuttavia, il laboratorio di quella stessa scrittura si spalanca davanti a noi sotto una luce imprevista, alla stregua di un cantiere ancora percorso da tensioni divergenti.A stupirci non è soltanto la presenza, nei frammenti inediti, di temi come «il risveglio nella camera buia», che poi, una volta rimaneggiati, andranno a costituire alcune pietre miliari della Recherche. Fanno la loro comparsa in questi passi anche elementi di carattere autobiografico che lo scrittore si sforzerà di manipolare, sopprimere o nascondere con cura quando giungerà al romanzo. Basti pensare che il narratore dei frammenti, oltre ad avere in comune con il romanziere della Recherche un fratello chiamato Robert, non mostra nessuna difficoltà ad attribuirsi il nome e il cognome di Marcel Proust, come se stesse architettando stralci di un’autobiografia a venire, o di una singolare, provvisoria auto-fiction.

«Che la Recherche non sia un’autobiografia (e soprattutto non debba essere letta come un’autobiografia) – ha avvertito Mario Lavagetto fin dal 1991 – è un risultato ormai acquisito». E dal momento che il romanzo, affrettandosi a neutralizzare spie di plateale identificazione con la vita del proprio autore, metterà in scena un narratore figlio unico, da non confondere con Proust per nessun motivo, ci troviamo al cospetto di una fase del tutto particolare della scrittura. Se il saggio ha ormai mostrato la sua inadeguatezza, i legami di parentela con la vita dell’artista non sono ancora stati travolti dalle esigenze dell’opera letteraria, che solo in un secondo momento – ha osservato Roland Barthes – si incaricherà di spezzarli, confonderli e «disorganizzarli».

A riabilitare il valore e l’importanza della prosa saggistica, ad ogni modo, intervengono a questo punto gli altri testi dei Saggi, che proprio a partire dall’analisi del rapporto fra arte e vita lasciano poco a poco trasparire alcune comuni linee guida. Nella maggior parte delle occasioni, Proust sembra infatti accanirsi a promuovere un’ostinata operazione di ribaltamento delle abitudini di ricezione dell’opera letteraria. Lo vediamo innanzitutto impegnato a dimostrarci, nel saggio sullo «Stile» di Flaubert, che non nella biografia, bensì nella «grammatica» e nella lingua di uno scrittore si annidano le «leggi» di costruzione della sua opera e la sua peculiare «visione» del mondo. La letteratura, leggiamo del resto nella prefazione a Tendres Stocks di Paul Morand, rappresenta il «supremo compimento» della vita, ma deve essere intesa come lo spazio sacro dove è sopravvissuta la musica segreta di «un’anima» profonda, del tutto diversa dalla voce con cui l’artista ha recitato la propria parte nel teatro della società. Inutile allora, ripete Proust in più occasioni, interrogare «l’uomo perituro» che si aggira nei salotti.

I Saggi invitano piuttosto a rimettersi in qualche modo «in ascolto»: come se ad ognuna di queste forme d’intervento, anche a quelle di carattere più occasionale, venisse demandato il compito di ricordare che sotto gli oggetti, e in particolare nei libri, si nasconde una sorta di doppio fondo in grado di comunicare la sua «verità».L’obiettivo è quanto mai arduo, visto che a intralciare le procedure si staglia la minaccia dell’imperizia e dell’incomprensione. «Ho l’impressione che non si sappia più leggere», lamenta Proust a più riprese, inventariando le idiosincrasie e le sviste di un pubblico abulico, sopraffatto dal chiacchiericcio dei luoghi comuni e sempre meno disposto a riconoscere le miracolose rivelazioni della letteratura. È verso un simile uditorio che i testi dei Saggi, in maniera del tutto strategica, si impegnano allora a esercitare una peculiare azione propedeutica e conoscitiva.

Non è un caso se proprio qui – precisa Mariolina Bongiovanni Bertini – vediamo radunarsi temi quasi «ossessivi» che «attraverso incarnazioni diverse» approderanno alla Recherche. Per Proust è decisivo farci ad esempio riconoscere, con una battuta di anticipo sul romanzo, che le opere letterarie sono espressione di «leggi misteriose» e manifestazione della voce un «io profondo» che si annida nell’artista come «Mr Hyde». In questo modo – lo ammette in uno dei saggi su Baudelaire – Proust tenta di «orientare il gusto» e l’educazione letteraria degli eventuali, futuri lettori, fornendo di volta in volta una serie di istruzioni preparatorie che si riveleranno indispensabili al momento di affrontare gli enigmi e le sfide del suo romanzo.

Resta allora da chiedersi in che misura le indicazioni di Proust riescano oggi a raggiungere il lettore di questi Saggi.
Per quanto le osservazioni di Mariolina Bongiovanni Bertini continuino a offrirci una guida eccellente nella ricognizione, la mancanza di una introduzione generale aggiornata lascia interdetti e interrogati sulla evidente svalutazione dei «progressi» compiuti negli ultimi trent’anni dagli «studi proustiani»; studi che, dopo essere stati evocati in una nota al testo, vengono riportati in una bibliografia ragionata alla fine del volume.
La ristampa accresciuta dei Saggi evita tra l’altro di fare i conti con l’attuale crisi della critica letteraria, che rispetto ai tempi della precedente edizione ha assistito a una sconcertante sparizione dei suoi ascoltatori: come tornare a catturare il pubblico riproponendogli gli stessi strumenti di indagine? E perché non farsi invece suggerire dalle folgoranti intuizioni di Proust, o dalle sue lamentele, alcune vie d’uscita per superare l’impasse? All’orizzonte dei Saggi, la Recherche ci attende con le sue incessanti sfide all’interpretazione: ci piace pensare che la critica abbia ancora qualcosa di nuovo da dirci in proposito.

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