Nessun trionfalismo, nessun eccessivo furore patriottico, ma Putin oramai lo dice in modo chiaro: le sorti della Russia sono indissolubilmente legate all’andamento della guerra in Ucraina. «Il raggiungimento di tutti gli obiettivi che ho appena elencato dipendono in maniera diretta dai nostri soldati, ufficiali e volontari che combattono al fronte», ha infatti affermato al termine del suo annuale discorso all’Assemblea federale russa, in cui il presidente ha dato conto dello stato generale della nazione e ha stilato una lista di sfide da affrontare per il prossimo futuro. L’Ucraina però, come suole accadere nella retorica del Cremlino, in pratica non c’è: gli antagonisti e gli interlocutori cui Putin si rivolge sono gli Stati uniti, l’Europa, il cosiddetto “Occidente collettivo”. In particolare il leader russo ha risposto alle dichiarazioni del presidente francese Macron, che qualche giorno fa non escludeva l’opzione di truppe Nato sul suolo ucraino (ipotesi comunque già smentita o mitigata dal segretario dell’alleanza Stoltenberg e da altri capi di stato europei). «Le armi nucleari del nostro paese sono in stato di massima allerta», ha minacciato Putin a fronte di una platea plaudente. Alludendo alle sconfitte subite da chi in passato ha provato a invadere la Russia, ha poi rassicurato che «stavolta le conseguenze saranno ancora più tragiche. Anche noi possediamo armi che possono colpire i loro territori».

AL TEMPO STESSO il leader del Cremlino ha voluto mostrare anche una faccia più tranquillizzante, definendo «una sciocchezza» la prospettiva per cui la Russia vorrebbe attaccare l’Europa. Anzi, si è detto anche pronto al dialogo con gli Usa su questioni di «equilibrio strategico», smentendo inoltre le accuse per cui Mosca starebbe sviluppando un’arma nucleare antisatellite. La Russia, insomma, secondo Putin si sta solo difendendo. Un’ambiguità retorica che ha due punti ciechi abbastanza evidenti: le quattro regioni ucraine annesse con dei referendum farsa a settembre di due anni fa vengono considerate parte integrante della Federazione, nonostante l’esercito occupante non le controlli che in maniera parziale, e dunque i confini del paese (e, conseguentemente, il concetto di “difesa”) possono essere intesi in maniera parecchio arbitraria; in più la guerra – termine che aveva iniziato a far un po’ di più capolino nelle parole delle élite russe – viene con risolutezza chiamata quasi solo nella solita e ipocrita formula di «operazione militare speciale».

Questo elemento, unito all’approssimarsi delle elezioni presidenziali (fra il 15 e il 17 marzo), spinge a pensare che a Putin premesse lanciare messaggi soprattutto verso il suo pubblico “interno” e a ribadire che non esiste alternativa alla sua idea di Russia. «Il nostro sistema politico è uno dei pilastri della sovranità nazionale», ha infatti commentato. «Non lasceremo che nessuno si permetta di intromettersi nei nostri affari domestici. Il cosiddetto Occidente, con il suo atteggiamento colonialista e con la sua abitudine di fomentare conflitti nazionali in giro per il mondo, vuole frenare lo sviluppo del nostro paese». Invece, può annunciare il leader del Cremlino forte anche delle recenti stime dell’Fmi, l’economia russa è in crescita ed è la più grande dello spazio europeo, si potranno lanciare programmi per ridurre la povertà ma soprattutto incentivi specifici per contrastare il calo demografico. Tutto ciò in parallelo allo «sviluppo del complesso militare-industriale», necessario per via della «corsa al riarmo» in cui il paese viene «trascinato» dall’Occidente.

NEI FATTI, la priorità sembra essere reprimere ulteriormente il dissenso: proprio ieri a Mosca è stato fermato e multato Serghei Sokolov, il direttore di Novaya Gazeta (giornale per cui lavorò tra gli altri Anna Politkovskaja e il cui ex-direttore Dmitry Muratov ha vinto il Nobel per la Pace nel 2021). L’accusa è quella di «discredito delle forze armate», reato che sembra essere sempre più frequente in Russia. Mentre una grossa parte della redazione è emigrata all’estero dopo l’inizio dell’invasione, Sokolov (già oggetto di minacce nel 2012) è invece rimasto nel paese nonostante la testata abbia subito la revoca della licenza mediatica. Il suo caso segue di pochi giorni l’arresto del copresidente di Memorial Oleg Orlov e anticipa i funerali di Alexei Navalny, che si dovrebbero svolgere nel primo pomeriggio di oggi in un distretto periferico della capitale.

PORTAVOCE e familiari denunciano numerosi ostacoli: impossibile trovare una sala per la cerimonia, le agenzie funebri si rifiutano di portare il corpo in chiesa, la polizia allestisce misure di controllo vicino al cimitero dove è diretta la salma. Ma il saluto all’oppositore di Putin è confermato e anzi si estenderà a varie città del mondo.