Pupi Avati: «Il problema? E’ la coscienza degli adulti»
Raiuno «Il bambino cattivo», stasera alle 21.10 il tv movie sull'infanzia abbandonata
Raiuno «Il bambino cattivo», stasera alle 21.10 il tv movie sull'infanzia abbandonata
La fantasia non è servita a Pupi Avati nella costruzione della sceneggiatura de Il bambino cattivo, tv movie che Raiuno lancia oggi in prima serata come evento conclusivo dello speciale palinsesto proposto da viale Mazzini nell’ambito della Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e l’adolescenza.
Perché per raccontare la vicenda di Brando (Leonardo Della Bianca) trascinato in un istituto dopo il divorzio non consensuale dei genitori (Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro), ha attinto da fatti di cronaca (molti sono i riferimenti ai fatti di Padova del 2012) e dai fascicoli che gli psicologi Luigi Cancrini e Francesca Romana De Gregorio, gli sottoponevano nel corso della lavorazione.
La prospettiva originale del film tv, «fiction – spiega Avati – è un termine che non mi piace, è riduttivo. Io ho fatto un film con la Rai su un tema che nessun produttore in Italia avrebbe accettato», è l’idea di tenere come voce narrante il punto divista dal ragazzino, costretto ad assistere alla guerra quotidiana fra i due genitori.
La madre troppo fragile per resistere ai tradimenti del marito e alle sue continue assenze, si rifugia nell’alcol e scivola dentro e fuori dalla clinica. Ad aiutarlo c’è solo la nonna materna (una sensibile Erica Blanc) che per il nipote nutre un affetto fortissimo, ma non è in grado di accollarsi una simile responsabilità. Una vicenda che si snoda in comodi loft nei quartieri bene di Roma, perché il contesto familiare di Brando è la buona borghesia; il padre insegna cinema, la madre ha appena ottenuto una cattedra universitaria.
«Volevano dimostrare che vicende di questo tipo nascono in contesti in cui non sempre c’è sofferenza economica», sottolinea il direttore di Rai 1 Giancarlo Leone.
Lo Cascio, che si è accollato il ruolo dell’insensibile e immaturo genitore, spiega: «È la società intorno a noi che è cambiata profondamente. Dietro storie di abbandono, si nascondono non vicende legate a percosse o violenze, ma legate all’indifferenza, all’inadeguatezza. Nel mio caso sono un padre vanitoso concentrato su se stesso. Io e mia moglie non ci facciamo scrupoli a strumentalizare nostro figlio come testimone di ciò che accade».
Nella seconda parte il film sviluppa gli eventi del traumatico passaggio in istituto di Brando. Gli scoppi di ira, le violenze e i rapporti con i compagni, fino all’incontro con la famiglia affidataria (Isabella Aldovini e Pino Quartullo) che ha perso un figlio e vuole ricominciare con lui. Un percorso non facile: «Se vado con loro non devono più nominare il nome del figlio morto e non voglio chiamarli mamma e papà», scrive in una lettera alla direttrice.
E l’happy end non è così scontato. Dietro vicende di affido, si celano nuovi abbandoni. «La questione – sottolinea ancora Avati – molto spesso non è un problema di leggi, ma di coscienze con gli adulti capaci di assumere comportamenti deprecabili».
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