Pulcinella, eroe mascherato, daimon comico
Folklore La antiche origini contadine prima di approdare nella commedia dell'arte
Folklore La antiche origini contadine prima di approdare nella commedia dell'arte
Un mito di fondazione narra che Pulcinella nacque da un uovo posto da Ade sul cratere del Vesuvio; la maschera, dunque, appartiene al mondo di sotto, il «non-visibile» (A-idea, Ade). I Pulcinella «caporaballi» di Montemarano (AV) esibiscono la loro natura luciferina con terribili salti. Il pullus partrnopeo, altresì, si accompagna con due animali inferi: il cane e l’asino. Ma qual è il mondo infero? Quello del morso e del rimorso (De Martino), dove il lavoro è fatica cruda, che ti fa «buttare il sangue» col quale innaffi la terra, e di cui, come i tarantati, ti liberi con deliri neuromotori, gli stessi di Pulcinella quando sta in crisi di presenza e gli viene l’artèteca (moto muscolare incontrollato).
Come tutti gli eroi mascherati, anche lui ha un superpotere: si mimetizza in ogni situazione. Pulcinella prima di «Pulcinella» era uno schiavo e un bracciante ed oggi, poiché è un nero che raccoglie pomodori, non ha bisogno di maschera. Il sottofondo culturale da cui è nato è certamente l’osca AKeru, Acerra, situata in un territorio dove ab antiquo avvenivano pantomime come le Atellane.
I contadini del ‘600 – secolo in cui nacque, ufficialmente, Pulcinella – capovolgevano, per antica consuetudine, come nel carnevale, i rapporti di classe durante la mietitura e la vendemmia, prendendo in giro il padrone con l’alluccata (grida scomposte) e l’incanata (abbaiare di cani). Tracce di questo si trovano ancora in alcuni canti di lavoro «a distesa» dell’area vesuviana. Eccolo Pulcinella: è esausto, ha l’asma bavosa, è balbuziente perché non ha (più) niente da dire, ha il volto cotto dal sole (la prima maschera del Nostro era rossa). Dopo il lavoro nei campi, i braccianti si riunivano nei cortili delle masserie e lì ripetevano le sceneggiate diurne. Quando Pulcinella è transitato nella commedia dell’arte e, poi, nella letteratura, è diventato un simbolo ed ha accolto, come accade ai simboli, varie contaminazioni e innesti. Una recente teoria, ad esempio, poi abbandonata, vedeva un legame tra la maschera e il dio Horus egizio; un’altra intercettava nella sua cupa maschera («persona», «per-sonare», emettere suono cupo) il corax, il corvo, la materia grezza dell’iniziazione mitraica. Pulcinella, sostanzialmente, è il trikster (briccone) presente in tutte le culture.
Da noi, ricorrendo alla filiera delle analogie, tutte legittime, il suo antecessore è certamente Ermes, psicopompo e discolo. Pulcinella è, altresì, un patafisico: utilizza la dialettica del rovesciamento e ti disillude, ti toglie l’illusione dell’autonomia, sei vincolato a lui come alla tua Ombra magnetica; lo vediamo col volto infarinato (segnale di Morte) prendere appunti alle spalle di un Freud steso sul lettino; per lui, falloforico, maschio e femmina, anarchico e obbediente solo agli impulsi della natura, le teorie del viennese sono un «segreto di Pulcinella».
Su varie di queste linee sviluppa la sua indagine Nino Daniele ne Il Daimon comico (ed. Giannini, Napoli, 2024). «Daimon», vale a dire proprio quello socratico, la forza misteriosa che agisce in ciascuno e ne determina le inclinazioni. L’autore dimostra che questo oviparo, gallinaceo come la sirena e familiare a Demetra e ai suoi misteri, è il prototipo dell’eroe tragicomico euromediterraneo, l’apprendista stregone che accende la miccia del big-bang. Importante l’analisi di Daniele su «come» è stata vissuta la maschera in ambiti diversi, letterario, filosofico, teatrale, «culto» e plebeo, intercettando gli antecessori in Platone, nel pianto di Eraclito e nel riso di Democrito, nel «Kikirro» di Orazio, fino ai lavori di Agamben e Lacan. Fra i più acuti interpreti iconografici della maschera annoveriamo l’artista Luigi Serafini, autore di una celebre Pulcinellopedia; nel teatro rimane insuperabile Eduardo De Filippo. La maschera , per quanto molto amata, ha avuto nemici. Daniele cita il tentativo di Scarpetta di sostituire Pulcinella con Sciosciammocca ma questi era un aspirante borghese affettato e innocuo; Pulcinella era e rimane un proletario repentino, capace di eroismi.
Immaginando un incontro sul palco tra i due «tipi», Pulcinella butterebbe Sciosciammocca al tappeto in un «perepè-parapà». Daniele ci mostra il personaggio nella sua «genetica culturale» insieme con la carnalità tellurica, al punto che, leggendone il racconto, ci meravigliamo – ma non molto – nel vederlo al posto di un «Cristo velato» che, molto napoletanamente, ostenta il corpo. Ma chi è Pulcinella? La risposta la diede Aldo Masullo che, alla domanda di alcuni giornalisti su chi fosse per lui il napoletano più simpatico, rispose «Pulcinella». Perché? Perché è l’Eros del Simposio, figlio di Penia (l’indigenza) e di Poros (l’espediente, l’arrangiarsi). Annotiamo, a margine, che Daniele dedica, tra gli altri, questo lavoro proprio al suo maestro, Masullo, di cui avverte la mancanza (Penia) e lo stimolo euristico (Poros).
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