Visioni

Talevi su Puccini: «Aveva una visione quasi cinematografica»

Talevi su Puccini: «Aveva una visione quasi cinematografica»una scena di Tosca, sotto Alessandro Talevi

Incontri Alessandro Talevi, giovane regista ha diretto «Tosca» a Roma. «Il fulcro si fonda sulle scene originali. Ma non volevo una regia museale, ho cercato così di restituire l’opera con freschezza»

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 13 marzo 2015

Si dice che i grandi maestri non ci siano più e allora l’Opera di Roma ha puntato su un regista giovane per una speciale Tosca, improntata al ripristino delle scene e dei costumi di Adolf Hohenstein, quelli della prima assoluta del 1900, tenutasi proprio al Teatro Costanzi. Un’operazione in bilico fra filologia e nostalgia, che al pubblico sembra piacere, specie per l’indiscutibile fascino di scene e costumi ricostruiti da Carlo Savi e Anna Biagiotti (a grande richiesta nuove repliche il 24, 26 e 28 giugno). Sul podio Donato Renzetti ha proposto una Tosca vigorosa e equilibrata mentre il cast oscillava fra la solidità di Roberto Frontali, Scarpia sicuro e credibile, e i buoni mezzi del tenore Stefano La Colla e del soprano Oxana Dyca, voce importante ma davvero poco rifinita sul piano interpretativo e della recitazione.

Cresciuto in Sudafrica ma di origini italiane, Alessandro Talevi si è già fatto conoscere in Italia con uno spassoso Amore delle tre melarance di Prokof’ev al Maggio Musicale Fiorentino.

Come si è posto davanti a un’opera così amata dal pubblico di Roma, che per anni ha applaudito il famoso spettacolo di Bolognini? 

È stata una sfida interessante, e uno spettacolo insolito, visto che sono abituato a lavorare con un taglio contemporaneo. L’ho considerato un progetto sperimentale: la prima preoccupazione è stata di vagliare a fondo gli allestimenti precedenti di Tosca che si ispiravano alla prima del 1900: con sorpresa mi sono accorto che, con varie differenze, nessuno era veramente fedele.

Come mai? 

Direi che da subito si sono susseguite alterazioni e cambiamenti sugli originali di Hohenstein. Per la mia regia ho scelto di seguire in modo maniacale le indicazioni del libretto, scoprendo quando siano efficaci e come Puccini componesse per il teatro con una mentalità moderna, che definirei cinematografica.

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Come ha preparato lo spettacolo?

A Londra ho verificato con un workshop di giovani che la regia montata sulle indicazioni del libretto poteva funzionare. Naturalmente il fulcro dello spettacolo si fonda sulle scene originali, in tela dipinta, realizzate con una tecnica che ormai esiste quasi solo in Italia. Anche i costumi sono aderenti ai bozzetti originali, e ugualmente fondamentale è l’illuminazione. Però non volevo una regia museale, ho cercato invece di restituire Tosca con freschezza. Ho anche apportato qualche cambiamento, come nel primo atto, dove l’altare è troppo sul fondo per far cantare l’intero Te Deum: ho cercato una soluzione per portare il coro a bordo scena senza farla sembrare incoerente. È un allestimento godibile anche per chi vede Tosca per la prima volta.

E per la recitazione, la gestualità? 

È l’aspetto più difficile. Al pubblico odierno non si può assolutamente riproporre la gestualità di quell’epoca. Il teatro d’opera è radicalmente cambiato, un mutamento a cui non sono estranei il cinema e la televisione. Poi, con tre cast che si incrociano, avevamo poco tempo per provare.

Lei ha anche una grande primadonna in famiglia, ha pensato a lei mentre lavorava? 

Il soprano Giulia Tess (Giulia Tessaroli) era la sorella della mia bisnonna. Fu celebre come Elektra e Salome, ma anche nel repertorio italiano. È stata anche una famosa insegnante e apparteneva a quella ‘antica scuola’ che oggi non esiste più anche sotto il profilo della della gestualità scenica. Probabilmente mi direbbe che ho sbagliato quasi tutto.

Ripeterebbe questo esperimento con altri titoli? 

No, non credo, ma è stato emozionante farlo, ho imparato molto.

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