Pensando alle virate di alcuni dei principali gruppi del rock psichedelico contemporaneo verso stadi elettronici, rif sintetizzati, bassi fraseggi in ripetizione con la catàbasi di gran casse – almeno i Moon duo di Stars Are The Light e i King Gizzard di Butterfly 3000 o, ancora, qualche anno fa, Current dei Tame Impala che diede la stura: tutti lavori peraltro molto belli – l’ultimo disco dei Black Angels è invece un rafforzamento e una sintesi della loro musica fino a questo momento. Uno stile che si muove tra folk, garage, rock psichedelico più propriamente inteso, con picchi di hard-rock e stoner come nel caso di History of the Future, sferzata ritmica, vero e proprio sfrenamento in distorsione e rullante, posto come secondo brano di questo eccezionale Wilderness of Mirrors che si era aperto invece con la pura psichedelia di Without a Trace, qualcosa di rituale nelle giaculatorie sgranate, sognate a più voci nel mezzo del deserto, con echi sullo sfondo e grida di coyote, di peyote.

MENTRE in Empires Falling sono basso elettrico e batteria a esorbitare – soprattutto nelle pause di chitarra –, e a ritmare la voce di Alex Maas che procede astrologando, come in filastrocca: è ancora quell’invocazione alla terra, agli elementi, e l’esorcizzazione dell’imminente catastrofe. Ma Wilderness of Mirrors è tutt’altro che un disco nichilista: anzi è spinta, incitamento vitalistico, a tratti lirico, come nella chiusa di La Pared (Govt. Wall Blues) o nel ritmo largo, come lamento di The River o in Here & now intessuto da un bassofondo malinconico di organetto e di una trama, di una filigrana sugosa di basso elettrico.

«Suffocation» è una variazione sull’ Aria della quarta corda di BachOppure ammiccante, malizioso quando in Firefly interviene la voce di LouLou Ghelichkani dei Thievery Corporation che duetta in francese con Maas e crea l’ammicco pop, giocoso, suadente. Che diventa qualcosa di avventuroso in Make It Know, dominato dai tom di Stephanie Bailey, ormai celebri soprattutto a partire da Snake in the Grass nel 2008. E poi c’è 100 Flowers of Paracusia, invito al viaggio ora sognante nell’andatura della chitarra acustica, ora in acido di rif e assoli di chitarra elettrica e arabeschi di tastiera.

CHE È L’ULTIMA COSA che sentiremo, la tastiera, ora gocciante, alla fine del disco, alla fine di Suffocation, variazione sull’Aria sulla quarta corda di Bach: congedo dormiente, trasognato dopo l’ebrezza di questo viaggio concitato che è Wilderness of Mirrors.