Francesco Orlando su Proust, un Io freudo-marxista prende in analisi il «Je qui n’est pas moi»
Cento anni dalla morte «In principio Marcel Proust», saggi di Orlando raccolti a cura di Luciano Pellegrini, da Nottetempo
Cento anni dalla morte «In principio Marcel Proust», saggi di Orlando raccolti a cura di Luciano Pellegrini, da Nottetempo
In principio c’è una celebre frase del Contre Sainte-Beuve, in cui Proust sostiene che le opere letterarie nascono da un Io diverso e più profondo di quello che si manifesta nell’esistenza quotidiana, e di conseguenza è assurdo voler giudicare il valore di un testo sulla base di ciò che si conosce dell’uomo che l’ha scritto. L’importanza germinativa di questa osservazione nel percorso che conduce alla Recherche è ben nota, e Francesco Orlando è stato uno dei primi critici a mostrarne la continuità in un celebre saggio introduttivo alla prima edizione italiana del Contro Sainte-Beuve. Era il 1974, e Orlando anticipava infatti un’interpretazione che sarebbe poi stata confermata da tutta la critica genetica successiva: questo suo fondamentale studio si trova ora riunito, insieme ad altri, in un volume curato da Luciano Pellegrini, In principio Marcel Proust (Nottetempo, pp. 239, € 18,00) che raccoglie tutto ciò che Orlando ha pubblicato sull’autore della Recherche.
Nel saggio del 1974 era contenuta anche un’altra acuta osservazione, di cui oggi forse misuriamo meglio la portata: e cioè che la sacrosanta contestazione da parte di Proust del metodo biografico in letteratura era essa stessa di natura biografica. Nell’attaccare la mondanità letteraria di Sainte-Beuve, Proust colpiva anche un polo negativo del proprio io: al tempo stesso denunciava un metodo critico che va nella direzione sbagliata e un Narratore dilettante che va a cercare all’esterno, nella sfera dell’ «Io sociale», ciò che dovrebbe scendere a trovare in se stesso. Orlando ipotizza quindi non tanto un rifiuto, quanto un rapporto critico più sottile con la storia della vita; e parla di «profondissime radici biografiche» alla base dell’opposizione che struttura la Recherche, quella tra una ricerca in direzione sbagliata e la non ricerca in direzione giusta. Esclusa ovviamente l’erudizione biografica alla Sainte-Beuve, il critico pone attenzione ad un vissuto poi liberamente e inventivamente trasposto nell’opera. Del resto la sua duratura ammirazione per l’opera di George Painter, che tra il 1959 e il 1965 dedicò a Proust una grande biografia in due volumi, all’epoca considerata come esaustiva, nasceva proprio dall’uso discreto del materiale aneddotico fatto dal primo biografo di Proust e dall’ «intelligenza freudiana» della sua ricostruzione.
La sapiente architettura del libro creata da Luciano Pellegrini evidenzia questa sensibilità alla biografia, mettendo in apertura del volume quello che è cronologicamente l’ultimo saggio proustiano di Orlando, dedicato alla corrispondenza tra Proust e la madre. Redatto pochi mesi prima della morte e pubblicato postumo, nel 2010, in questo studio «Orlando indulge per una volta a scrivere più sull’uomo che sull’opera», osserva il curatore, e fa del saggio l’ideale introduzione a tutti gli altri scritti proustiani. La nuova attenzione rivolta all’epistolario di Proust è un elemento peculiare della critica più recente, nel quale si potrebbe leggere una nuova conferma della lucidità esente da conformismi critici con cui Orlando ha sempre saputo interpretare Proust.
Basti pensare al saggio seguente nel volume, frutto del suo primo corso universitario dedicato allo scrittore, che nel 1968 proponeva «a una cinquantina di ragazzi tutti membri attivi del Movimento Studentesco», Marcel Proust dilettante mondano, e la sua opera. Scelta apparentemente stravagante per il periodo, e che viceversa sapeva svelare con metodo «freudomarxista» come il mondo della Recherche sia governato dalla categoria dell’improduttività sociale e come, proprio per questo, solo un non professionista della letteratura, quale Proust si presentava, potesse interpretarlo in modo così magistrale da creare il capolavoro assoluto della letteratura del tempo.
A questi due saggi succedono poi una coppia di studi di impostazione psicoanalitica («Sapere» contro «vedere». Metamorfosi e metafora e Logica falsa e prestigio vano: una lettera di M. de Charlus) e il saggio sul Contre Sainte-Beuve. In essi è possibile vedere diverse applicazioni del metodo di Orlando, basato sulla riduzione del modello freudiano «pieno» (per esempio il complesso di Edipo) a un modello «vuoto a priori di contenuti determinati», e perciò più capace di dar luogo a collegamenti testualmente pertinenti e ricchi di informazione. Per approdare a questa metodologia decisivo è stato per Orlando il contributo dello psicoanalista cileno Ignacio Matte Blanco, con la sua concezione dell’inconscio come pensiero «bi-logico». In questo caso i modelli sono formali, e dunque vuoti, (per esempio, condensazione, spostamento, denegazione…) e possono combinarsi in un insieme di costanti e di varianti lessicali capaci di rendere conto dell’intero sistema tematico della Recherche.
È evidente, in questo libro che esce in un anno di grandi celebrazioni proustiane, e che gli attribuisce, oltre all’indubbio spessore critico, una valenza speciale, il suo carattere quasi autobiografico: questa la vera ragione della scelta del titolo da parte del curatore, a dispetto del fatto che Orlando non ha mai dedicato un intero libro a Proust. Nella postfazione Pellegrini indaga questa caratteristica propria di tutta la ricerca dello studioso francesista, dove anche l’astrazione intrinseca allo strutturalismo può farsi veicolo di confessione, ma che è particolarmente visibile nei suoi studi proustiani, le cui implicazioni autobiografiche sono verosimilmente legate al rapporto con Tomasi di Lampedusa e a certi nodi non del tutto risolti della sua fisionomia identitaria. Il rapporto privilegiato con la Recherche, il testo di una vita, approda qui a una composizione coerente, rendendo la sommatoria di questi saggi non solo un libro unitario, ma anche una sorta di autobiografia intellettuale.
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