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Protagonisti e comprimari della recessione italiana

Protagonisti e comprimari della recessione italiana

Crisi di governo ed economia Se dovesse nascere un governo di scopo e/o transizione dobbiamo pur dire che alla macchina pubblica servono 30 mld aggiuntivi per farla funzionare dignitosamente

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 20 agosto 2019

Una nuova geografia e una nuova gerarchia economica si sta delineando in Europa con l’inizio della recessione. La plausibile iniziativa economica e finanziaria della Germania – qualche giornale sussurra interventi discrezionali pari a 500 mld -, lo testimonia.

Sebbene in molti intravvedono nella crisi tedesca un rischio per l’economia italiana ed europea, i più sottovalutano l’attuale configurazione dell’economia tedesca ed europea. In effetti, la crisi del 2008 ha dimostrato che alcuni paesi hanno riconvertito la propria struttura, mentre altri paesi hanno agito solo dal lato finanziario.

Gli investimenti aggiuntivi che la Germania si appresta a delineare, faranno crescere la loro specializzazione nei beni capitali, presupposto indispensabile per agganciare la crescita non appena la recessione lascerà il posto alla crescita.

Dopo ogni recessione, evidentemente non solo tecnica, non si consumano gli stessi beni, piuttosto beni a maggiore contenuto tecnologico. È su questo campo che si gioca la partita: la capacità di intercettare la domanda emergente necessita non solo di investire, ma anche di collocarsi a monte della catena del valore.

PRODURRE BENI CAPITALI o comprare beni capitali per sostituire i macchinari obsoleti non hanno lo sesso segno economico. Per intendersi, se anche un paese come l’Italia riporta un attivo complessivo nelle partite correnti dei beni capitali con l’Eurozona, ciò non è dovuto a un predominio tecnologico, piuttosto ad una storica specificazione del sistema produttivo; allo stesso tempo, però, il paese manifesta una forte dipendenza tecnologica dalla Germania.

In altre parole, l’Italia esporta beni strumentali in paesi che non li producono da sé, salvo poi importare dalla Germania i beni d’investimento a maggiore contenuto tecnologico per realizzare i beni necessari per soddisfare la domanda emergente successiva ad ogni crisi (recessione). Le conseguenze sulla crescita e sulla produttività sono enormi: il paese importatore (L’Italia) cede una parte del valore aggiunto a chi fornisce i macchinari a maggiore contenuto tecnologico, nel mentre il paese esportatore (la Germania) guiderà e organizzerà l’intera catena del valore europea e quindi dell’Italia.

LA GERMANIA si pone come potente centro gravitazionale del processo economico.  In effetti, la visione secondo cui gli avanzi commerciali sono all’origine degli squilibri finanziari dei Paesi in disavanzo implica una relazione causale che si muove dalla bilancia commerciale alla bilancia dei movimenti di capitale, e questa direzionalità sembra abbastanza improbabile in un mondo in cui le transazioni commerciali catturano solo una piccola frazione di tutte le operazioni tra le giurisdizioni, ognuna delle quali necessita di un finanziamento (Bellofiore, Garibaldi et altri).

In altri termini, i flussi di capitale si coordinano con un’articolazione gerarchica della produzione ed è ben radicata nelle filiere produttive transnazionali.
Se si vuole continuare a proteggere l’idea di Europa come progetto di integrazione e condivisione, la riflessione su questi temi va condotta senza ritardi, e trattata spogliandosi di ostili pregiudizi mentali.

IL GOVERNO DEL PAESE sconta diversi problemi di tenuta democratica, valoriale e progettuale; la Lega è funzionale alla gerarchizzazione europea tedesca perché si preoccupa di distribuire reddito, in questo caso verso i ricchi, evitando accuratamente le politiche di governo dei cambiamenti economici necessari per delineare nuovi oggetti per produrre reddito aggiuntivo.

Se dovesse nascere un governo di scopo e/o transizione dobbiamo pur dire che alla macchina pubblica servono 30 mld aggiuntivi per farla funzionare dignitosamente e una polita economica (industriale e del lavoro) tesa a generare reddito senza dipendere dalla tecnologia tedesca.

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