Proibito viaggiare a Omar Barghouti
Israele/Palestina Il ministero dell'interno non rinnova il lasciapassare all'opinionista palestinese, tra i fondatori della campagna di boicottaggio di Israele. A Barghouti potrebbe essere revocato il permesso di risiedere con la sua famiglia a San Giovanni d'Acri
Israele/Palestina Il ministero dell'interno non rinnova il lasciapassare all'opinionista palestinese, tra i fondatori della campagna di boicottaggio di Israele. A Barghouti potrebbe essere revocato il permesso di risiedere con la sua famiglia a San Giovanni d'Acri
Alle minacce, formulate a fine marzo da più di un ministro israeliano durante la conferenza «Stop Bds» a Gerusalemme, sono seguiti i fatti. Il ministero dell’interno ha rifiutato di rinnovare i documenti di viaggio dell’opinionista e attivista palestinese Omar Barghouti, uno dei fondatori della Campagna per il boicottaggio accademico e culturale di Israele (Pacbi) e del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e sanzioni (Bds). Contro il Bds e la Pacbi, che promuovono il boicottaggio a più livelli di Israele in risposta alla negazione dei diritti dei palestinesi, il governo Netanyahu ha avviato negli ultimi mesi una offensiva che prende di mira gruppi ed individui considerati “ostili”, anche in Israele. Barghouti, che viaggia spesso l’estero per partecipare a conferenze e attività del Bds, da oltre un mese non può lasciare il paese per decisione del ministro dell’interno Arye Deri. Alla conferenza «Stop Bds» Deri aveva annunciato l’intenzione di revocare la residenza di Omar Barghouti che abita a San Giovanni d’Acri, nel nord di Israele, dove l’attivista vive con la moglie, una palestinese con cittadinanza israeliana, e le figlie. Barghouti, sostiene Deri, trascorrerebbe gran parte del suo tempo a Ramallah, nei Territori palestinesi occupati, e pertanto non ha diritto alla residenza in Israele.
Il mancato rinnovo dei documenti di viaggio – Barghouti non ha il passaporto israeliano e per andare all’estero ha bisogno di un laissez-passer, un lasciapassare – e la probabile, a questo punto, revoca della residenza, rientrano nella sfera di quelle «esecuzioni mirate civili» ipotizzate alla conferenza di fine marzo dal ministro dell’intelligence Israel Katz, ossia l’adozione di misure volte ad annullare i diritti e la libertà di movimento dei promotori del Bds. Il ministro Deri da parte sua arrivò ad affermare che il movimento Bds vuole distruggere Israele e che Omar Barghouti non sarebbe per Israele meno pericoloso di Hezbollah o dell’ayatollah Khameini. Gli attivisti del boicottaggio, aggiunse, vanno trattati come terroristi. «Il rifiuto di rinnovare il mio documento di viaggio è chiaramente politico», ha protestato Barghouti «non solo nega la mia libertà di movimento ma è il primo passo verso la revoca della mia residenza permanente, una misura chiaramente politica e vendicativa che non ha alcuna base legale».
Il Bds usa mezzi non violenti per promuovere il boicottaggio di Israele e porre fine all’occupazione. In questi ultimi anni ha ottenuto successi significativi che hanno fatto scattare l’allarme ai vertici della politica israeliana: dall’adesione di sindacati britannici alle prese di posizione di consigli studenteschi, dalla partecipazione di centinaia di accademici fino alla sospensione in diversi Paesi di contratti con importanti imprese israeliane. Alcune Chiese hanno adottato forme di Bds e diverse pop e rock star internazionali hanno annullato i loro concerti a Tel Aviv. Gli attivisti del Bds inoltre sollecitano a non acquistare prodotti israeliani, in particolare quelli provenienti dalle colonie ebraiche nella Cisgiordania occupata. Nei mesi scorsi centinaia di docenti italiani hanno firmato una petizione contro l’università di Haifa “Technion” che accusano di partecipare attivamente alla produzione di armi poi usate contro i palestinesi.
Per Tel Aviv gli obiettivi del movimento Bds non sarebbero realmente pacifici poichè prevedono anche il diritto al ritorno dei profughi palestinesi e dei loro discendenti (sancito da una risoluzione delle Nazioni Unite, la 194) nella loro terra d’origine dalla quale furono cacciati via o costretti a fuggire nel 1948. Un diritto che se realizzato, affermano tutti i leader politici israeliani, significherebbe la fine di Israele come Stato ebraico. Così come aveva fatto a fine marzo, Omar Barghouti, anche in questa occasione ha ribadito «di non avere alcuna intenzione di interrompere il suo impegno per i diritti umani e per i diritti dei palestinesi».
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