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Progressive, la tempesta annunciata

Progressive, la tempesta annunciata

Ultrasuoni Sette anni che hanno fatto la storia del rock nostrano. Forzando stili, limiti e creando nuovi linguaggi

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 20 luglio 2013

1970-1977: questa storia certo fonda radici in terreni pregressi Chi ha fatto questa musica in quegli anni ascoltava le onde del beat americano e inglese, aveva scoperto il surf sulle onde delle diverse waves o invasions inglesi negli Usa, americane in Europa, entrambe nel mondo. C’erano stati, prima, i poeti a declamare le loro poesie nei diversi luna park della mente e ancora prima i jazzisti a sostenere quelle parole nei readings. Avevamo visto orrori al napalm, ascoltato radio pirata, favoleggiato di viaggi interni prima ancora di partire, di regioni lontane ancora prima di conoscerle. Secchi gettati, assetati, nei pozzi delle tradizioni pagane e celtiche, magiche e esoteriche.

Un orecchio entusiasta, perché no, alla rivoluzione che a Sanremo, visto con i calzoni corti, facevano Modugno o Joe Sentieri. Tony Dallara o Antoine. Sandie Shaw e la dolce Françoise Hardy. Tutto prima, tutto un po’ prima ma segni indelebili nelle giovani menti di chi nel 1963 aveva visto i Beatles a TV7 al London Palladium; lamé scintillanti on stage, reggiseni e mutandine al vento in platea. Malori e flicks stupefatti a non capire, mentre sfilavano le ambulanze di svenimenti a raffica. E allora qui da noi, quando ancora esistevano le case discografiche e le classifiche con vendite a cinque/sei zeri ogni settimana, c’erano il Cantagiro e i Rokes, l’Equipe 84 e i Corvi, i Nomadi, i Primitives e i Delfini, i Kings e i Profeti, i Camaleonti e il Clan, Ricky Cianco e i Satelliti, i Ribelli, Jeff Beck a svisare al Teatro Ariston con gli Yardbirds, Gene Clark pre-Byrds con i Minstrels di Barry McGuire. E Dylan, che per primo metteva tutto in sintesi gloriosa a scartare cartelli con Ginsberg per un proto video storico? E Donovan con i suoi «colori» soffusi?

Quanti crediti deve il prog, come ogni linguaggio, a chi è venuto prima? Poi c’erano stati i Genesis; i concept-album dei Moody Blues, lan Anderson e il suo flauto in equilibrio su una gamba. Si potevano raccontare storie in musica lunghe e complesse, una scrittura varia e a sorpresa girando pagina e cambiando tempo molte volte, come una romanza, un’opera, un poema. Sfogliare gli anni così, come propone a vista il robusto tomo che hai in mano, per chi c’era è davvero aroma di macchina del tempo. Il presente della memoria è il futuro di quel passato che è vivo come i vent’anni di molti, artisti e ascoltatori, manager e impresari in una stagione fiorita di occasioni, di freschezza, di ingenuità e coraggio, stravaganza e stupore, sfrontatezza e rigore.

Modi profumati di ideali hanno fatto le ossa all’anima impalpabile, perché se mai l’etereo avesse bisogno di struttura, sarebbe certo Musica. Progressiva, in avanti sulla spinta chiara delle negazioni impraticabili, di costumi ed etiche sfiorite al sole di un’imminenza annunciata con grande preavviso: crescere. Cosi le riviste scandivano con le uscite il tempo. Super Sound, Ciao 2001, Ciao Amici prima, Giovani, Qui Giovani dopo. Alcune occhieggiavano Melody Maker, Billboard, il Rolling Stoneoriginario. (…)

Ogni etichetta aveva a contratto qualche band nella speranza del botto a sorpresa, imprevedibile e possibile. La mia Ariston Records, addirittura, da una soffiata al boss Alfredo Rossi, fece una label, Ariston Progressive, con l’immagine del Gigante Gentile, e c’è chi sostiene che il termine sia nato proprio lì, in piazzetta Pattàri a Milano; giusto dietro la Galleria del Corso, dove cospirava il sottobosco del mercato. E Franco Bnzi, autore di questo volume, certo c’era; tanta precisione storica e tanto calibro nei commenti tradiscono frequentazione informata, attenta, appassionata. Un’enciclopedia come quelle di una volta, illustrata alla maniera di quell’antico rivoluzionario Conoscere dei Fratelli Fabbri di memoria preinformatica, prewikipedica, pre di tutta questa vasta occasione digitale che ha ucciso il Vecchio Mercato cambiando le regole a beneficio di formule ancora non del tutto chiarite, ma certo stimolanti come il presente che viviamo; orfani di certezze che non siano le tracce indelebili che certa Musica, salvandoci la vita, ancora presenta attuali a orecchie e cuore elevati a sistema. Rock on, humans; hugs to you all.

*dalla prefazione al volume di Franco Brizi «Volo magico-Storia illustrata del rock progressive italiano» (Arcana)

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