Progredire sulle Metamorfosi, la sfida critica degli anni duemila
Bartholomäus Spranger, Ercole, Deianira e il Centauro Nesso, 1580-1582, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Alias Domenica

Progredire sulle Metamorfosi, la sfida critica degli anni duemila

Classici latini Einaudi trasferisce nei «Millenni», largamente aggiornata, l’edizione del poema ovidiano che uscì nella «Pléiade» nel 2000. Decisiva la scelta di adottare il testo «di» Richard Tarrant, mentre Luigi Galasso ha rivisto il suo già notevole commento
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 6 novembre 2022

Nell’autunno del 2000 fu pubblicato un libro che suscitò in me, allora studente, una sensazione non molto diversa da quella che Marziale aveva provato di fronte ai primi codici pergamenacei capaci di contenere tutti e dodici i libri dell’Eneide, fino a quel momento pubblicati separatamente in singoli rotoli di papiro. Quam brevis immensum cepit membrana Maronem! («una così piccola pergamena ha accolto l’immenso Virgilio!»), scriveva Marziale, meravigliato, in Apophoreta, 186, 1; non dissimile fu il mio stupore quando uscì nella «Biblioteca della Pléiade» di Einaudi un elegantissimo volume rilegato in pelle morbida, di formato maneggevole (11 x 18), che offriva in 1766 pagine, per uno spessore di soli 4,5 centimetri, i quindici libri delle Metamorfosi di Ovidio nell’originale latino, accompagnati dalla pregevolissima traduzione italiana di Guido Paduano, nonché da un bel saggio introduttivo di Alessandro Perutelli («Il fascino ambiguo del miracolo laico») e da un monumentale commento (di circa novecento pagine) di Luigi Galasso.

Iconografia sontuosa

A distanza di ventidue anni quell’aurea edizione delle Metamorfosi riappare in forma sensibilmente mutata, sia nella facies tipografica che nei contenuti. Quel volume prodigiosamente smilzo si è infatti trasformato in due lussuosi tomi in cofanetto, pubblicati sempre per Einaudi, ma nella serie «I millenni» (Ovidio, Le metamorfosi, pp. CXXXVI-1336, € 120,00). Il testo latino, la traduzione italiana di Paduano e il commento di Galasso sono stati rivisti e aggiornati; l’introduzione di Perutelli (egregio latinista prematuramente scomparso nel 2007) è stata sostituita da un saggio dello stesso Paduano; è stato inoltre aggiunto un sontuoso apparato di illustrazioni, su cui torneremo.

Il ventennio intercorso tra le due edizioni è stato di grande rilievo nella storia degli studi sulle Metamorfosi. Nel 2004 ha visto la luce, nella serie «Oxford Classical Texts», l’importante edizione critica del poema a cura del filologo statunitense Richard J. Tarrant, che ha rapidamente sostituito, come edizione di riferimento, la «teubneriana» di William S. Anderson, uscita nel 1977 e più volte ristampata, il cui testo era riprodotto, con alcune opportune modifiche, nelle Metamorfosi Einaudi/«Pléiade», ed era dunque alla base sia della traduzione di Paduano che del commento di Galasso. Tra il 2005 e il 2015 è inoltre uscita per la «Fondazione Valla» un’edizione in sei tomi delle Metamorfosi, frutto del lavoro di una prestigiosa équipe internazionale coordinata da Alessandro Barchiesi.

L’edizione «Valla», divenuta anch’essa un punto di riferimento fondamentale per gli studi ovidiani, offriva – oltre a un’introduzione generale bipartita (un saggio di Charles Segal seguito da un saggio di Barchiesi) – un testo criticamente riveduto, fondato sull’edizione oxoniense di Tarrant, una traduzione italiana realizzata da Ludovica Koch (libri I-IV) e Gioachino Chiarini (V-XV), e un amplissimo commento a cura di Barchiesi stesso (libri I-III), Gianpiero Rosati (IV-VI), Edward J. Kenney (VII-IX), Joseph D. Reed (X-XII), Philip Hardie (XIII-XV).

Le metamorfosi, come tutti i classici latini, ci sono pervenute non nell’originale, ma attraverso manoscritti molto più tardi, copie di copie dell’originale vergate da scribi che, per ignoranza, distrazione o malafede, spesso non riproducevano con la dovuta acribia il testo del proprio modello e talora lo interpolavano, ossia lo alteravano consapevolmente, integrandolo con vocaboli e segmenti verbali allotri. Molti passi del poema risultano, dunque, problematici e controversi, e non di rado è difficile, se non impossibile, stabilire con sicurezza quali parole Ovidio abbia effettivamente usato. Il testo fissato da Tarrant rappresenta un indubbio progresso rispetto a quello stampato nelle precedenti edizioni critiche, ma non tutte le ipotesi filologiche dello studioso hanno riscosso consenso. In particolare, Tarrant è stato giudicato da molti eccessivamente incline a ipotizzare interpolazioni, e quindi a espungere pericopi, singoli versi o gruppi di versi. Il testo latino delle Metamorfosi «Valla», pertanto, pur dipendendo da quello dell’edizione di Tarrant respinge una parte significativa delle espunzioni che lo caratterizzano. Questo «Millennio» riproduce, con qualche modifica, la revisione del testo di Tarrant proposta dalla «Valla», ma il numero delle espunzioni si è ulteriormente ridotto (14 in meno).

La scelta dei curatori di avvalersi di una nuova edizione critica di riferimento ha reso il testo latino sensibilmente migliore di quello adottato nel 2000: il «Millennio» si fa preferire, ad esempio, in Met. 1,712, dove nomen posuisse puellae, «diede [scil. allo strumento] il nome della ragazza» (Tarrant, «Valla», «Millennio»), dà un senso indubbiamente superiore a nomen tenuisse puellae, «conservò il nome della ragazza» (Anderson, «Pléiade»); in Met. 11,608-9, ove ne … reddat, / nulla (Tarrant, «Valla», «Millennio») crea una sintassi più scorrevole e un’articolazione logica più coerente di nec … reddit: / nulla (Anderson, «Pléiade»), e in numerosi altri passi. In Met. 9,728, tuttavia, bisognerebbe senz’altro tornare al mihi dell’edizione «Pléiade» (il «Millennio» ha me; Tarrant aveva sostituito il mihi dei manoscritti con me perché espungeva parcere e le parole successive fino a et compreso; nel «Millennio», però, l’espunzione non è accolta, e quel che ne risulta è il solecismo me parcere).

Fedele ed elegante

La mutata edizione critica di riferimento ha imposto una capillare revisione della traduzione di Paduano, che è stata ritoccata in più punti e adeguata con acribia al nuovo testo. Ho notato, nel «Millennio», una sola difformità tra latino e italiano: in Met. 3,720 è accettato il testo di Tarrant e della «Valla», Autonoes (genitivo ndr) moveant animos Actaeonis umbrae («l’ombra di Atteone commuova l’animo di Autonoe»), ma continua a essere tradotto il testo di Anderson, Autonoe (vocativo ndr)! moveant animos Actaeonis umbrae («Autonoe, … abbi pietà in nome dell’ombra di Atteone!»).

La traduzione di Paduano fu, al suo primo apparire, accolta con grande favore, e merita oggi una lode rinnovata, perché riesce a essere sia fedele che elegante. Paduano ha deciso di rendere gli esametri dattilici di Ovidio con versi anisosillabici, che talora assumono la forma dell’esametro barbaro (ad esempio in Met. 2,156, «quando furono aperti da Teti, ignara del fato», e in Met. 5,399, «e dalla veste allentata caddero i fiori raccolti»), talora risultano una sorta di ibrido ritmico tra un blank verse e un esametro barbaro (cfr. ad esempio Met. 2,6: «aveva là cesellato il mare che cinge la terra»), più spesso sono semplicemente versi liberi, che nella disposizione degli accenti, nella scelta e nell’ordine delle parole e nella strutturazione sintattica cercano di riprodurre, con esiti felici, la fluidità dell’elocuzione ovidiana, sempre facile e sciolta. Per usare categorie ‘traduttologiche’, possiamo dire che Paduano ha individuato nella fluidità dell’elocuzione la ‘dominante’ delle Metamorfosi e che, coerentemente, ha cercato di replicare proprio questa caratteristica essenziale del poema di Ovidio. Secondo Roman Jakobson e i formalisti russi, la ‘dominante’ è l’elemento che garantisce l’integrità strutturale di un’opera letteraria; e nel caso delle Metamorfosi, oltre alla virtuosistica capacità di Ovidio di stabilire i collegamenti più vari, è proprio la fluidità della narrazione – che resta scorrevole anche quando muta il registro stilistico (senza alcuno stridore si alternano il pathos tragico, la commedia, l’epica eroica, l’elegia erotica, il grandguignol) – ciò che rende quello che avrebbe potuto essere un noioso catalogo di miti di trasformazione un’opera sì labirintica ma unitaria, in cui il poeta, mentre affascina il lettore con un racconto, lo conduce con sublime agilità al successivo. La scelta di privilegiare la fluidità nella traduzione è dunque pienamente legittima, e forse la migliore possibile.

In qualche caso, però, la ricerca di una limpida scorrevolezza oblitera elementi rilevanti dell’elocuzione, che si sarebbero potuti riprodurre con una resa più letterale. Ad esempio, Paduano traduce così perque abdita longe / deviaque et silvis horrentia saxa fragosis / Gorgoneas tetigisse domos (Met. 4,777-9), «e, con un lungo cammino per rocce impervie / e nascoste, con foltissimi boschi, giunse alla casa / delle Gorgoni». Questa versione restituisce con piacevole fluidità il senso generale, ma si perdono la raffinata enallage «rocce irte di selve scoscese» (silvis horrentia saxa fragosis), la variatio sintattica data dalla successione di un sintagma aggettivale sostantivato (abdita longe, «luoghi remotissimi»), di un aggettivo sostantivato (devia, «luoghi sperduti») e di un sintagma sostantivale (silvis horrentia saxa fragosis), nonché la ponderosità epica del nesso Gorgoneasdomos («dimore gorgonee»).

Non si può, tuttavia, pretendere l’impossibile, ossia che in una traduzione il testo ‘di arrivo’ riesca a replicare tutte le caratteristiche formali del testo ‘di partenza’ (specie se il testo di ‘partenza’ sono Le metamorfosi…), e bisogna ribadire che la resa di Paduano, un vero maestro di quest’arte, costituisce un eccellente sussidio all’interpretazione del testo latino, e un testo italiano godibile di per sé.

Con piacere e interesse si legge anche il brillante saggio introduttivo («Metamorfosi e morte») elaborato ex novo da Paduano, che ripercorre il poema concentrandosi soprattutto sul motivo della metamorfosi come evento prodigioso che sostituisce la morte garantendo – in forme che variano a seconda delle specifiche situazioni e delle figure coinvolte – la sopravvivenza di tratti originari dell’individualità trasformata.

Secondo Leopardi, Ovidio, «fedelissimo pittore degli oggetti» e «ostinatissimo e acutissimo cacciatore d’immagini», conduce «lo spirito (…) a veder gli oggetti appoco appoco per le loro parti» (Zibaldone, p. 2042). L’eccezionale talento di Ovidio nel dare evidenza pittorica ai dettagli e la sua peculiare tecnica descrittiva, messa perfettamente a fuoco da Leopardi (che pure non lo amava), hanno reso Le metamorfosi il testo classico che più ha ispirato le arti figurative. Il ricco apparato iconografico a cura di Luca Bianco (32 tavole ripartite tra i due volumi), che rappresenta la novità più visibile di questa nuova edizione einaudiana del poema, consente di ripercorrere alcune tappe dell’immensa fortuna figurativa delle Metamorfosi, dal cosiddetto Maestro di Fauvel fino a Giulio Paolini, ossia dalla miniatura del Trecento fino alle più recenti installazioni site-specific. Tra le opere selezionate da Bianco, al quale si deve anche l’utile premessa alle illustrazioni, spiccano, a mio avviso, la straordinaria Liberazione di Andromeda di Piero di Cosimo (tav. 11), ispirata da Met. 4,672-77 e 718-27, la Favola di Aracne di Velázquez (tav. 13), che riprende Met. 6,26-42 e 129-31, e soprattutto il mio preferito tra i quadri ‘ovidiani’, il genialissimo Paesaggio con la caduta di Icaro di Pieter Bruegel il Vecchio (tav. 17), che rielabora Met. 8,217-259 e che a propria volta ha ispirato, come ben noto e come Bianco sottolinea, una delle più belle liriche di W.H. Auden (Musée des Beaux Arts).

Monumento di erudizione

Non poteva rimanere immutato, in questa metamorfosi complessiva dell’edizione «Pléiade», il commento di Galasso, un monumento di erudizione e di equilibrio critico, frutto di una fatica erculea (lascio al lettore, anche non filologo, immaginare quale sforzo comporti per uno studioso commentare da solo un’opera colossale come Le metamorfosi). Galasso conosce come pochissimi Ovidio e i suoi modelli letterari, e, come già fu evidenziato quando l’edizione «Pléiade» vide la luce, ha un dono raro: sa usare con lucida selettività la propria dottrina, e riesce a renderla accessibile. L’esegesi di Galasso eccelle nell’analisi della funzione strutturale e dello sviluppo narrativo dei singoli episodi, e nell’indagine delle loro fonti, ma non mancano note stilistiche di grande finezza e acute osservazioni filologiche.

Per questo «Millennio» Galasso ha rivisto il commento alla luce del mutato testo latino e della bibliografia più recente, vagliata sempre con rigore, nonché di nuovi approfondimenti e di qualche inevitabile ripensamento; non di rado le note sono state asciugate, senza però che si sia perso nulla di essenziale. In questa veste rinnovata il commento di Galasso è destinato a ricevere la stessa accoglienza che ebbe nella sua prima versione, e può essere definito senza alcuna esagerazione retorica uno strumento indispensabile per ogni serio studio sulle Metamorfosi.

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