Programmi elettorali in debito
Nuova finanza pubblica Cosa propongono i principali partiti su debito e finanza? Ecco cosa
Nuova finanza pubblica Cosa propongono i principali partiti su debito e finanza? Ecco cosa
Le elezioni sono alle porte, e fioccano le promesse di tutte le forze politiche. Ora che i programmi sono disponibili comodamente sul sito del ministero dell’Interno, è possibile avere un panorama esaustivo su ciò che viene proposto sui temi della finanza e del debito.
Vediamo una rapida rassegna.
Nel programma unitario delle destre non compaiono i termini «finanza» e nemmeno «debito pubblico».
Presumibilmente costretti alla concisione dal fatto di tenere assieme chi per anni ha tuonato contro l’euro e il nuovo amico della Merkel (Berlusconi), presentano come programma un insieme di slogan senza approfondimenti: scarne frasette del tipo «Revisione dei trattati europei» e «Più politica, meno burocrazia in Europa». Sul tema il nulla più totale. E nemmeno sulle banche.
Fortunatamente Renato Brunetta in una lettera al Foglio (17 gennaio) ci soccorre: occorre privatizzare i beni dello Stato ma solo quelli non strategici (cioè? Non si sa…), venderli a una società finanziaria che emetterà obbligazioni (cioè chiederà soldi in prestito), e coi proventi ci si pagherà il debito.
Tagliando le complicatezze tecniche brunettiane, Berlusconi semplifica: «Riduzione del debito, portandolo al 100% del Pil in cinque anni. Il tutto attraverso la crescita, come è normale in un’economia sana, fiscalmente non oppressiva. Inoltre valuteremo un grande piano di privatizzazioni finalizzato alla riduzione del debito».
Adesso è chiaro che le destre più che combattere il predominio della finanza intendono usarne i meccanismi stessi per il debito statale. Cioè curare l’avvelenamento da cianuro con la stricnina. Fenomeni. (Niente male per la Lega il cui responsabile economico, Claudio Borghi, solo pochi mesi fa bacchettava Brunetta argomentando che il debito non è il problema…).
Il Pd riserva maggiori soddisfazioni: un programma di 40 pagine (ma con comodi bignami in 10 pagine o addirittura versione colorata ultrasemplificata); in cui si dice chiaro e netto: riduzione del debito al 100% sul Pil (dal 132% attuale) in 10 anni. Come? Mantenendo la crescita attuale (le stime per il 2017 darebbero un consolante +1,5%, dopo una serie di caporetto: +0,8 nel 2016, +0,7 nel 2015, + 0,1 nel 2014…
Ma tale cifra è sufficiente? Per Marattin sì, purché (come spiega anche lui al Foglio) restino costanti l’inflazione vicina al 2%, e che gli interessi richiesti dai mercati per prestarci i soldi restino gli stessi. E qui casca l’asino, perché per mendicare dai mercati dei tassi bassi, occorre essere «affidabili», cioè fare le famose «riforme strutturali». Compare poi anche un bel «programma di dismissioni patrimoniali (mobiliari e immobiliari) capace di assicurare lungo i 10 anni una cifra compresa tra il 2% e il 4% del Pil». Ancora privatizzazioni, sebbene non si usi più il termine.
Il programma del M5S è imponente. Solo la parte dello sviluppo economico consta di 90 pagine (più del doppio di quello intero del Pd!), in cui è facile perdersi.
Nella parte sulle banche ci sono – unici fra i partiti maggiori – misure per ripristinare la separazione fra banche di deposito e di investimento. Compare anche una ipotesi di legge anti-speculazione molto interessante, per la quale «Bisogna dare un giro di vite al far west della finanza spericolata», combattendo il sistema finanziario ombra.
Ottimo. Solo che nella versione-volantino del programma, rinvenibile sul sito del Ministero, compare l’obiettivo di «riduzione del rapporto debito/PIL di 40 punti in dieci anni». E come? Con investimenti in deficit, tagli agli sprechi, lotta all’evasione fiscale. Cifra peraltro che nel programmone non c’è affatto.
Come si fa per superare la dipendenza dai mercati per il rifinanziamento del debito? Non si capisce come arrivare all’obiettivo, del programma, per cui «si tratta di riportare la sovranità che si è spostata nei mercati all’interno degli Stati nazionali, poiché è il diritto che deve prevalere sull’economia e non viceversa». Il che non suonerebbe tanto male.
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