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Professorini vs professoroni

Professorini vs professoroniL'aula del senato della Repubblica

Riforme La ministra Boschi punta sulla linea verde per contrastare le critiche dei costituzionalisti. Ricevuti al ministero tredici ricercatori, che pure avanzano qualche dubbio sul disegno di legge del governo. Ma "l'impianto non si tocca"

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 15 aprile 2014

Professorini contro professoroni. La ministra Maria Elena Boschi ha ricevuto ieri per un seminario sulle riforme tredici ricercatori universitari di diritto costituzionale. Trovandoli tutti, ha scritto poi in un comunicato, convinti della «forte necessità della riforma» che proprio oggi pomeriggio comincia il suo cammino nella prima commissione del senato. Una mossa, quella della ministra, facile da decodificare: il sostegno dei ricercatori dimostrerebbe quanto siano conservatori i «professoroni», quei costituzionalisti che hanno definito il disegno di legge del governo una «svolta autoritaria». Ma una mossa che ha avuto almeno il merito, come ha detto al termine una delle ricercatrici coinvolte, per quanto critica con il governo, «di dare la parola a chi nell’università è assai poco ascoltato».

Con Boschi c’erano due sottosegretari e per un buon tratto anche la presidente della prima commissione, la senatrice Anna Finocchiaro, figura chiave per il cammino del disegno di legge Renzi-Boschi, che nelle promesse del presidente del Consiglio dovrebbe essere approvato in prima lettura entro le prossime elezioni europee. Se, al termine, si può dire che il seminario sia andato come la ministra ha riassunto – «tutti hanno offerto il proprio concreto contributo di idee e proposte all’interno dell’impianto del disegno di legge presentato dal governo» – bisogna anche aggiungere che quelle erano le regole d’ingaggio, in partenza. «La ministra ci ha fatto subito capire che ci sono delle questioni di fondo sulle quali non si può tornare indietro, perché quel testo è il frutto di un accordo politico ben preciso», è la ricostruzione concorde di tre partecipanti all’incontro. Impossibile dunque mettere in discussione la non elettività della camera alta, tanto che la premessa generale di ogni intervento – al netto di qualche entusiasta – è stata del tipo: visto che stiamo parlando di un senato non direttamente elettivo, allora ragioniamo sulle funzioni che possiamo assegnargli.

Promotore e organizzatore dell’appuntamento è stato Massimo Rubechi, dell’università di Urbino, da tempo collaboratore dei gruppi del Pd in parlamento. A Luca Castelli di Perugia, Ines Ciolli della Sapienza, Federica Fabrizzi dell’università telematica Uninettuno, Erik Longo di Macerata, Giovanni Piccirilli della Luis e Francesca Rosa di Foggia è stato assegnato il tema più delicato, la riforma del bicameralismo E non è vero che non ci siano state opinioni critiche sul progetto del governo. Ad esempio è stato fatto notare che un senato composto sia da rappresentanti dei comuni che da rappresentati delle regioni (anzi, in definitiva in maggioranza dai primi) non trova corrispondenti in giro per il mondo. Se non in Francia, dove però c’è una sorta di suffragio universale indiretto – nel senso che votano per i senatori tutti i consiglieri eletti, dunque un corpo elettorale di secondo livello di circa 150mila persone (in Italia secondo lo schema del governo non si arriverebbe a novemila grandi elettori).

Qualche riserva è stata espressa anche dai ricercatori intervenuti sulla riforma del Titolo V, Simone Calzolaio di Macerata, Antonio Iannuzzi di Roma 3, Stefania Mabellini di Tor Vergata, Pietro Milazzo di Pisa, Francesco Pallante di Torino e Elena Vivaldi della scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Qualcuno ha fatto notare che il riparto delle competenze proposto dal governo non garantisce affatto un abbassamento della conflittualità tra le regioni e lo stato centrale. L’impressione condivisa da molti dei partecipanti al seminario è che sul Titolo V la ministra sia assai più disponibile a modifiche, considerando quello un argomento più semplice da affrontare. Quanto al bicameralismo, invece, l’unico emendamento proposto praticamente da tutti e sostanzialmente accolto da Boschi è stato quello contro i 21 senatori di nomina presidenziale. Ma quello dei senatori nominati è un punto rimasto nell’ultima versione del testo per essere messo sul piatto della mediazione, in parlamento.

Proprio gli emendamenti saranno al centro della riunione che i senatori del Pd terranno questa mattina, poche ore prima dell’avvio in commissione. Il capogruppo Zanda, così come il governo a più riprese, ha vivamente scoraggiato la presentazione di proposte individuali. La minoranza del partito è sostanzialmente concorde, disponibile anche a concludere velocemente, entro le elezioni europee. Resta il progetto alternativo firmato da Chiti e da una ventina di senatori democratici, inconciliabile con il Renzi-Boschi perché fermo nel conservare l’elezione diretta dei senatori.

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