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Professori e studenti delle Accademie, figli di un dio minore

Professori e studenti delle Accademie, figli di un dio minore – foto di Ross Land/Ap

Istruzione Gli Stati Generali dell’alta formazione artistica e musicale, voluti dal viceministro Fioramonti, hanno accesso i riflettori su un settore con organici bloccati da 50anni

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 22 febbraio 2019

L’idea di pervasività inerziale della cultura come catalizzatore in grado di costruire immaginari potenti – che magari orientano il pensiero o costruiscono un’idea di mondo – è un patrimonio enorme che va difeso per la sua estrema fragilità.

Questa infinita e dinamica fragilità, vero Dna della cultura in generale, è accompagnata – a volte- da forme di pregiudizio su coloro che sono gli attuatori dei linguaggi artistici: artisti, musicisti, scrittori, attori, etc… E i pregiudizi non hanno necessità di verifiche, di approfondimenti o di verità: sono delle scorciatoie artificiali, una sorta di ready-made contundenti e pronti al (cattivo) uso.

Lo sappiamo dai tempi di Flaubert che scriveva: «Arti: sono veramente inutili». Nell’immaginario comune e produttivistico, le arti consumano risorse senza produrre Pil.

Cosa alquanto errata, se facciamo riferimento ai dati. Il rapporto Symbola-Unioncamere del 2018, intitolato «L’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi», dimostra il contrario. «Al Sistema Produttivo Culturale e Creativo nel 2017 si deve il 6% della ricchezza prodotta in Italia: oltre 92 miliardi di euro». Inoltre, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. Risultato: lavoro per 1,5 milioni di persone, il 6,1 % degli occupati in Italia.

Ciò presuppone competenza e talento che bisogna coltivare dentro una filiera didattica verticale in grado di stimolare l’eccezione, la diversità e il libero scambio delle emozioni: capaci, appunto, di emovère, ovvero di provocare quella deflagrazione che produce nuovi immaginari.

All’apice di questa filiera vi sono le istituzioni Afam, che si occupano di educare il talento a svilupparsi in un ambiente che dovrebbe essere luogo di ricerca e produzione. Quell’ambiente si chiama Universitas. Ma le normative del settore hanno gettato queste istituzioni (Accademie di belle arti, Conservatori di musica, Isia, Accademia d’arte drammatica e di danza) in una sorta di piattaforma giuridica amorfa e irrisolta.

Gli Stati generali dell’Afam, voluti dal viceministro Miur Fioramonti, hanno finalmente acceso i riflettori su un settore particolare della nostra società. L’Alta Formazione Artistica e Musicale vive in una situazione che è un incrocio perfetto e terribile fra Kafka, Pirandello e Ionesco.

I docenti e gli studenti Afam sono stati considerati fino ad oggi come figli di un dio minore o come una tipologia di migranti che tentano – invano – di accedere al primo mondo dell’Università.
Migranti che il sistema universitario ha sempre respinto. Basti dare un’occhiata alle decine di disegni di legge. Il parlamento non ha mai portato a termine alcun ddl che ne prevedesse il passaggio, seppur graduale, all’Università. In più, l’amministrazione dello status quo ha sempre reso impervia la strada del rinnovamento mettendo forti paletti all’autonomia.

I ritardi ciclopici (dopo vent’anni i regolamenti sono incompleti) hanno di fatto consegnato l’Afam in una sorta di limbo a credito che ha operato una spoliazione totale dei principi che muovevano la legge di riforma.

Dirimente sarà la questione spinosa della governance, come molto importante è la questione della mancata ricostituzione di un organo vitale come il Consiglio nazionale per l’Alta formazione artistica. Il Cnam è chiamato nell’architettura del sistema ad esprimere pareri e proposte sui numerosi nodi strategici. Ma vige ancora una disciplina emergenziale che ha istituito una commissione cosiddetta ex-ordinamenti ad hoc e su stimolo giudiziale: da provvisoria è diventata stanziale.

Gli studenti non possono seguire i previsti corsi di formazione alla ricerca all’interno delle stesse Accademie e Conservatori, che pure possono istituirne: pur essendo prevista la norma, non ci sono fonti specifiche di finanziamento per attuarla. E così anche per i fondi di ricerca, totalmente assenti.

Questione grave è la mancata equiparazione giuridico-economica dei docenti con la docenza universitaria. La natura del rapporto d’impiego contrattualizzato dei docenti Afam non può essere, per via amministrativa, assimilato a quello decontrattualizzato dei docenti universitari. In tal senso è necessaria una norma urgente per superare la disparità di trattamento.

Controverso è il tema del reclutamento delle docenze che dovrebbe avvenire in analogia a quelle universitarie. Così come è di importanza vitale il necessario ampliamento dell’organico: da un quarto di secolo gli organici sono bloccati, nonostante l’aumento esponenziale di iscrizioni e lo sviluppo inarrestabile dell’internazionalizzazione.

Senza questo sblocco, il collasso di queste istituzioni è davvero alle porte. Altro tema è la seconda fascia della docenza, sfruttata e senza possibilità di avanzamento. Eppure, l’Alta Formazione Artistica e Musicale ha i numeri per consolidare la pervasività del soft power, nell’ottica di contribuire a custodire, sviluppare e trasmettere il cosiddetto nation branding: culla di qualsiasi identità di relazione.

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