Le previsioni della vigilia sono state rispettate: Marcello Viola è il nuovo procuratore di Milano, nominato al posto di Francesco Greco, in pensione dallo scorso novembre. Siciliano, classe 1957, tirocinante in magistratura sotto Rocco Chinnici, gip di Palermo dal 1989 al 2011, arriva a Milano dopo essere stato procuratore generale a Firenze. Il fatto che, in maniera inedita, il Csm abbia deciso di nominare lui e non di optare per una soluzione interna vale già per Viola la nomea di «papa straniero» inviato per risolvere la guerra interna che dilania gli uffici di Milano. I voti ottenuti al plenum del Csm (13 contro i 3 del candidato di Unicost Giuseppe Amato e i 6 dell’aggiunto milanese Maurizio Romanelli, sostenuto dai progressisti di Area e da Ilaria Pepe di Autonomia & Indipendenza) celano una divisione piuttosto profonda al vertice della magistratura, pessimo presagio in vista della scelta del capo della Procura nazionale antimafia, appuntamento al quale Mattarella spera si arrivi con una soluzione unitaria ma che probabilmente sarà l’ennesimo scontro tra correnti.

Viola oltre ad aver ottenuto i voti di Magistratura Indipendente ha ricevuto i consensi anche dei sette laici e dei consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo. Durante il dibattito che ha preceduto il voto, Giuseppe Cascini di Area ha sollevato la questione delle questioni su Viola: il suo coinvolgimento nel caso Palamara. «A nessuno piace ricordarlo – ha detto Cascini -, ma lo abbiamo negli atti allegati: in una conversazione tra l’ex togato Forcinti e Palamara si dice che Viola fa tutto quello che dice Cosimo (Ferri, deputato di Iv e sottosegretario alla Giustizia nel governo Renzi, ndr). Non ho nessun elemento per dire che questo sia vero, ma non posso fare finta che non sia avvenuto». Di Matteo ha respinto questa versione dei fatti: «Viola non può essere vittima per sempre di un episodio di cui non è stato protagonista: mai sono emersi reali contatti tra lui e le figure citate». E se è vero che Viola non ha mai preso le distanze da questi fatti, è vero pure che ne uscì indenne quando nel 2019 il suo nome spuntò fuori dallo scandalo che costò la radiazione dalla magistratura di Palamara. Il punto è nell’intercettazione di una riunione avvenuta in un hotel di Roma la sera dell’8 maggio, con Palamara, Luca Lotti e Ferri che concordavano sul fatto che Viola sarebbe stato un ottimo nome per Roma. Le indagini, ad ogni modo, hanno provato che il magistrato non ha mai partecipato ad accordi illeciti. Pochi mesi fa il suo nome era stato nuovamente accostato alla procura capitolina, ma il plenum ha eletto Francesco Lo Voi.

Per Viola si aprono le porte di un incarico complicatissimo: la procura di Milano è una polveriera, un magistrato che viene «da fuori» può sì essere una soluzione – quasi un commissariamento – ma il rischio che venga in breve isolato c’è ed è concreto. Peraltro, il fatto che ad ascendere al vertice sia un ex gip e non un investigatore di fama rappresenta un cambiamento di carattere quasi culturale per una procura storicamente «inchiestista» come quella milanese. «Sono consapevole che sia un incarico particolarmente delicato, ma metterò il massimo impegno nello svolgere il ruolo direttivo che mi è stato assegnato, come ho sempre fatto», queste le prime parole di Viola da capo della procura di Milano.