Dopo la clamorosa retromarcia della procura di Trapani, che mercoledì ha cambiato idea e chiesto di prosciogliere gli imputati del maxi-processo alle Ong, ieri la palla è passata agli avvocati delle difese. L’udienza preliminare, intanto, ha raggiunto quota 35 appuntamenti. Per l’accusa è stata la «più lunga della storia repubblicana». Si replica oggi e domani. La decisione definitiva tra rinvio a giudizio o non luogo a procedere è attesa il 19 aprile.

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IERI SONO INTERVENUTI Francesca Cancellaro e Nicola Canestrini, legali di Iuventa. «Abbiamo messo insieme un gran numero di elementi operativi per restituire il quadro completo di quelle giornate e sgomberare il campo dalle accuse mosse in sede di sequestro della nave e poi dai media – afferma Cancellaro – Abbiamo collegato le singole condotte ai principi del diritto internazionale e nazionale mostrando come ogni azione era non solo legittima ma anche pienamente corretta».

In aula Cancellaro ha ripercorso l’evoluzione delle norme sul soccorso in mare dai grandi naufragi di Lampedusa, dell’ottobre 2013, fino al decreto Piantedosi di gennaio 2023. Il collega Nicola Canestrini si è concentrato sulla descrizione dettagliata delle tre operazioni di salvataggio su cui poggiavano le accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, reato che con le aggravanti può arrivare a pene di 20 anni.

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NONOSTANTE INFILTRATI, cimici, intercettazioni e sequestri, infatti, sono stati solo tre gli episodi finiti nel fascicolo di Iuventa, su decine e decine di interventi della nave che tra l’estate 2016 e quella del 2017 ha portato al sicuro quasi 24mila naufraghi. Canestrini ha ribadito che il trio di testimoni dell’accusa era inattendibile sin dall’inizio e ha prodotto una corposa mole di materiali che mostrano come i salvataggi incriminati sono stati realizzati in stretta cooperazione con il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma. In aula sono state fatte ascoltare le conversazioni tra il ponte della nave e la guardia costiera, sono state lette le relative email, proiettati i tracciati e la ricostruzione video di Forensic Architecture.

Le difese hanno accolto positivamente la richiesta di proscioglimento della procura, ma ne contestano la base. Secondo il procuratore mancava il dolo, secondo Iuventa non è stato commesso alcun reato. Perché 30mila pagine di fascicolo non sono state in grado di provare alcuna connessione tra soccorritori e trafficanti, la base delle accuse giuridiche ma anche politiche e mediatiche. «Le argomentazioni della difesa hanno mostrato come l’impianto argomentativo dell’accusa non ha fondamenta – afferma Serena Chiodo, membro del gruppo di osservatori ammessi alle udienze preliminari per Amnesty International – Speriamo che il giudice metta la parola fine al procedimento e resti la consapevolezza che chi salva vite in mare è un difensore dei diritti umani da tutelare».

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PROVA SENTIMENTI contrastanti Sascha Girke, soccorritore esperto che ha continuato a operare nel Mediterraneo centrale con diverse Ong anche dopo essere finito nel tritacarne dell’inchiesta. «Sono esausto ma anche entusiasta», dice. Le conclusioni della procura e quelle dei suoi avvocati gli fanno tirare un sospiro di sollievo in attesa della decisione finale del giudice, su una vicenda che ha comunque segnato otto anni della sua vita. «La ricostruzione complessiva che abbiamo fatto in aula è riuscita a sottolineare l’aspetto politico della criminalizzazione del soccorso in mare – dice Girke – Questo è importante non solo per noi, ma soprattutto per le persone in movimento».