Visioni

«Processo Galileo», la coscienza di un uomo libero sfida il potere

«Processo Galileo», la coscienza di un uomo libero sfida il potere«Processo Galileo» – foto di Luca Del Pia

A teatro La figura del grande scienziato reinventata in un’impresa produttiva di tipo collettivo

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 19 novembre 2022

Galileo Galilei è ovviamente un gigante, della storia oltre che della scienza. È titolo e protagonista della storia del teatro del ’900, e in Italia quel titolo firmato da Bertolt Brecht evoca i migliori ricordi del Piccolo e di Giorgio Strehler. E di Tino Buazzelli, attore bravissimo e in carne, cui nei primi anni 60 toccò, con questo spettacolo di cui era magistrale protagonista, misurarsi con le accuse di eresia e di scomunica, o poco meno, da parte del Sant’Uffizio, che ancora prosperava, a dispetto del Concilio Vaticano II. Ora torna Galileo, ma riscritto e reinventato a molte mani, in una produzione che unisce il torinese Tpe e il ticinese Lac. A firmare la regia di Processo Galileo (ancora oggi e domani al teatro Astra) sono infatti, a quattro mani, i direttori stessi dei due enti, Andrea Da Rosa e Carmelo Rifici. A questa inconsueta particolarità, si unisce il fatto che da due testi «paralleli» nasca la rappresentazione, firmati da Fabrizio Sinisi e da Angela Demattè. E su questi sia intervenuta poi, in funzione di dramaturg, Simona Gonella. Una vera impresa produttiva di tipo collettivo quindi, che segna anche i plurali momenti della rappresentazione.

ll ritmo scorre veloce in uno spettacolo di grande vocazione comunicativa

A FARE DA PERNO unificatore tra tutti, c’è fortunatamente la solida presenza di Luca Lazzareschi, che nelle vesti del protagonista calamita l’attenzione, e le molte sfaccettature del ruolo. Attorno a lui, un gruppo di giovani attori freschi di scuola, e Milvia Marigliano, come gli altri impegnata in più ruoli. Tutti uniti a dar corpo a questo Processo Galileo, come suona il titolo, che allarga lo scontro tra lo scienziato e la santa Inquisizione a meccanismo ed esempio, attraverso i secoli e la storia, tra la piena coscienza di un uomo libero e la tenaglia conformistica del potere, laico o religioso che sia (anche se a questo proposito, può suonare un po’ scombinata, la sequenza di altre vittime del potere assoluto che vengono sgranate a un certo punto, dai patrioti massacrati da Bava Beccaris ai testimoni/vittime della bomba atomica a Hiroshima). Il ritmo scorre veloce, anche se, come il pensiero, i suoi processi impongono dei rallentamenti, sulla bella e suggestiva scena di Daniele Spanò, una serie di contenitori geometrici che possono evocare zolle di campagna, strumentazione di guerra, banchi scolastici, refettori di ascendenza religiosa. Lo stesso accade per i costumi, di Margherita Baldoni, anche se fa qualche impressione che la lunga redingote color ruggine (indossata da Marigliano) vesta l’inquisizione, e poco dopo la madre che si rotola nelle zolle.

QUESTO Processo Galileo insomma azzarda forme di nuova rappresentazione, anche a rischio di diluire la carica innovativa ed eversiva, del pensiero, e delle scoperte e dei comportamenti, dello scienziato. Un grande spettacolo, di grande vocazione comunicativa, che non teme in qualche momento di restar vittima delle sue stesse ambizioni. Non per semplice «nostalgia» di Brecht, ma proprio per non correre il rischio che fuori della asciutta rabbia che Lazzareschi conferisce pienamente al suo personaggio, la forza del discorso venga indebolita dalle sue stesse «ragioni», come dimostra la giovane ricercatrice contemporanea che lega i racconti.

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