Processo civile, solo demagogia
Giustizia Intervista al professore di procedura civile Mauro Bove: dal governo soluzioni già fallite, non è così che si velocizzano le cause. Servono coraggio e risorse per l'organizzazione
Giustizia Intervista al professore di procedura civile Mauro Bove: dal governo soluzioni già fallite, non è così che si velocizzano le cause. Servono coraggio e risorse per l'organizzazione
«Non è con le norme processuali che si velocizzano i tempi della giustizia civile». Alla vigilia della presentazione della «terapia d’urto» di Renzi e Orlando, un gruppo di giuristi e professori di procedura civile – Mauro Bove (Perugia), Augusto Chizzini (Cattolica di Milano), Marco De Cristofaro (Padova), Sergio Menchini (Pisa), Elena Merlin (Statale di Milano) e Giuseppe Miccolis (Salento) – scrive al ministro della giustizia e lancia un allarme: la cura che state per somministrata alla giustizia civile è, ancora una volta, quella sbagliata.
Professor Bove, a suo giudizio cosa non va nel pacchetto con il quale Orlando vuole dimezzare i tempi del processo civile di primo grado?
Quasi tutto. Basta partire dai fondamentali: fare un processo significa consentire a un giudice di accertare dei fatti e applicare il diritto nel contraddittorio tra le parti. Ecco che i tempi più o meno lunghi non dipendono dalle regole del processo, ma dall’organizzazione, dal ritmo che si riesce a dare alle udienze. La controprova: i nostri codici non sono tanto diversi da quelli di altri paesi europei. Ma in Germania il processo di primo grado dura otto mesi e in Italia cinque anni.
Perché?
La prima ragione è che i magistrati italiani hanno ruoli insostenibili. Come fa un giudice a stare dietro a centinaia e centinaia di cause di arretrato? Non può. I magistrati sono pochi e le cause sono troppe.
Infatti il governo punta a ridurle incentivano i rimedi stragiudiziali, gli arbitrati e le negoziazioni.
Si tratta di demagogia allo stato puro. Gli arbitrati esistono già, eppure nessuno o quasi nessuno sceglie di rinunciare alla causa. Problema culturale, e problema che ha a che fare con le centinaia di migliaia di avvocati che le facoltà di giurisprudenza sfornano ogni anno. Non servirà al governo inventare nuove formule. Le camere di commercio offrono già servizi ottimi, ma invano: gli arbitrati non decollano. E la Corte Costituzionale ha chiarito che si possono fare solo con il consenso delle parti. Quindi siamo di fronte a uno spot, fatto magari per dare l’impressione in Europa che facciamo le riforme, quando in realtà si tratta di puro conservatorismo.
Vale a dire?
Vale a dire che si ripercorrono strade già battute. Nell’ultimo quarto di secolo le norme processuali sono state stravolte in continuazione, da governi di destra e di sinistra. Si è cambiato tutto: il processo di primo grado, i filtri all’appello, il processo in Cassazione, l’esecuzione. Tutto inutile. Perché non è questa la strada. Ripeto: bisogna intervenire sull’organizzazione.
Per farlo servirebbero risorse, mentre sulla procedura si interviene a costo zero.
È certamente così, ma non è solo così. Ci sono riforme che non costano, anzi produrrebbero un risparmio. Ad esempio l’abolizione della distinzione tra giudice amministrativo e giudice civile, così come propone Magistratura democratica. Sarebbe uno scelta sacrosanta, che peraltro aveva già indicato Calamandrei in Costituente. Ma il governo dovrebbe avere il coraggio di rottamare Tar e Consigli di Stato. Ce l’ha? Non credo, e allora continueremo con una massa di controversie in cui si litiga per anni solo per capire chi è il giudice competente, amministrativo o ordinario.
Altro esempio?
Per quale motivo in Italia non si può fare un vero albo degli avvocati cassazionisti, dove si accede per concorso e non più per anzianità? È così in altri paesi europei, dove chi difende in Cassazione non può intervenire nel tribunale di merito. Solo in questo modo si darebbe un contributo enorme allo smaltimento del pesante arretrato della Cassazione. Bisognerebbe però che qualche politico coraggioso affrontasse gli avvocati.
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