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Processo Casapound a Napoli, il pm: «Un gruppo criminale», dedito alla «caccia al compagno»

Processo Casapound a Napoli, il pm: «Un gruppo criminale», dedito alla «caccia al compagno»La sede di Casapound a Napoli

Associazione sovversiva e banda armata Chieste pene da uno a 8 anni per 34 imputati

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 20 giugno 2019

«Ci siamo trovati di fronte a un gruppo criminale che in un determinato momento storico del nostro paese ha fatto della ’caccia al compagno’ l’espressione della sua ideologia, concretizzatasi tra il 2010 e il 2011 in varie azioni violente»: è una parte della requisitoria di ieri del pm di Napoli Catello Maresca, relativa al processo in corso alla seconda Corte di assise nei confronti di 34 attivisti di Casapound. Pene tra otto anni e un anno di reclusione sono state chieste per i reati di associazione sovversiva e banda armata. Gli imputati per i quali è stata chiesta la pena più alta sono Enrico Tarantino, ritenuto uno dei leader insieme con Emmanuela Florino, Giuseppe Savuto e Andrea Coppola.

«Casapound è un’associazione riconosciuta impegnata nel sociale», così Florino descriveva a un giornalista il suo gruppo. Dalle intercettazioni e dalle immagini viene fuori il racconto di prima mano di pestaggi frutto di agguati pianificati ai collettivi studenteschi delle scuole, agli odiati movimenti universitari di sinistra, bombe molotov contro il centro sociale Insurgencia, azioni contro i Carc. Casapound all’esterno aveva il volto e la dialettica di Florino ma nella gestione militare si affidava a Tarantino, che i pm ritengono responsabile dell’accoltellamento di tre universitari.

Base operativa i locali del movimento in via Foria, la Berta, sede storica del Msi passata a Cp attraverso Michele Florino, parlamentare missino e padre di Emmanuela. Secondo il gip, «l’inserimento in ambienti istituzionali di suoi componenti aveva l’intento di creare un complesso affaristico di cooperative finanziarie del comitato politico-eversivo occulto». Le intercettazioni raccontano il tenore del dibattito politico. Uno degli attivisti spiega che all’università c’è una ragazza ebrea: «Ma se tu vedi passa e la salutano tutti, gli arabi che la salutano con rispetto. Mi sta facendo stizzire troppo… Io a questa qua la devo vattere (picchiare, ndr) o la picchio o la stupro e le faccio uscire il sangue dal culo».

Nelle intercettazioni li si sente riuniti nella Berta progettare l’incendio del negozio di un orafo ebreo («c’ha la kippa, che è quasi anche un mezzo frocio»), pianificare il proselitismo e le lezioni per realizzare molotov: «Tra un anno andremo a finire tutti con il mitra in mano».

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