«Privatizzare», la ricetta del governo che peggiora lo spolpamento attuale
Investimenti L'esempio inglese: dopo il fallimento si fa retromarcia
Investimenti L'esempio inglese: dopo il fallimento si fa retromarcia
Quale mente perversa potrebbe mai sostenere che per risolvere la strage sui binari, gli incidenti e i ritardi ripetuti di questi mesi nelle stazioni serve privatizzare le Ferrovie dello stato?
Non contenti dell’esempio inglese – nazione in cui il modello Thatcher ha portato alla moltiplicazione di aziende che coprono una singola tratta, una concorrenza feroce e un livello di servizi infimo tanto da costringere il governo alla rinazionalizzazione – i liberisti di casa nostra plaudono all’idea lanciata – ma solo per fare cassa – dal ministro Giorgetti e sposata dall’ineffabile Matteo Salvini.
Perfino l’harakiri della stazione Termini di Roma di qualche giorno fa è stato usato come «simbolo delle difficoltà dell’azienda pubblica» e «la necessità di mettere Fs e Rfi sul mercato».
La realtà dei fatti certifica esattamente il contrario. È proprio lo spolpamento delle due aziende attuato prima da Mauro Moretti e poi, con poche distinzioni, da tutti i governi che ha creato una situazione ormai insostenibile, soprattutto nella manutenzione. Servirebbe dunque più pubblico, non meno. Servirebbero investimenti e internalizzazioni di dipendenti e servizi, non la deregulation sfrenata che va avanti da un buon decennio.
Se la manutenzione straordinaria è totalmente appaltata a ditte esterne, quella ordinaria era ferma da anni e solo l’arrivo del Pnrr l’ha rilanciata. Peccato che il sistema ferroviario italiano sia un unicum. Solo da noi la stragrande maggioranza dei treni percorre la linea ad alta velocità che è quindi sovraccarica. E sono bastati i primi cantieri del Pnrr per portare alla luce l’ingolfamento totale della rete italiana: basta un piccolo cantiere sulla dorsale principale – la Milano-Bologna-Firenze-Roma- Napoli – per creare ripercussioni su migliaia di treni, bloccando l’intero traffico e mandando il tilt il sistema.
Fra l’altro il piano di privatizzazione di Fs è molto simile a quanto accaduto con Autostrade. Il modello cosiddetto Rab (Regulatory asset base) è il solito: certezza di profitti e socializzazione delle eventuali perdite. Il Rab funziona con un tasso di rendimento certo per l’investimento dei soci. Come i Benetton, i privati che entreranno in Fs potranno contare così su una remunerazione garantita, sebbene il “tasso di rendimento” sarà fissato dall’Autorità dei Trasporti pubblica.
Del processo di privatizzazione in qualche modo fa parte anche Salcef, la ditta per cui lavorava l’operaio morto ieri a San Giorgio di Piano. Il colosso romano della costruzione e manutenzione di infrastrutture ferroviarie non è nuovo a denunce non solo per la sicurezza del lavoro. Nel settembre 2023 un manager Salcef è stato oggetto di un assalto mafioso ancora misterioso, finito agli atti dell’inchiesta sulle infiltrazioni malavitose per gli appalti della Tav Verona-Vicenza. Ma non c’è da preoccuparsi: anche la Salcef se la papperanno i fondi privati. È in corso un’Opa da parte della newco Salbid, interamente partecipata da Railbid, di cui fa parte Morgan Stanley. Nel complesso l’operazione valorizzerà Salcef per 1,62 miliardi di euro. Non valorizzerà certo la sicurezza sui binari. Né dei pendolari né dei lavoratori.
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