È evidente come negli ultimi due o tre anni, dalla comparsa del Covid fino alla guerra in Ucraina, il senso profondo del contemporaneo – l’intrico di meccanismi, interconnessioni, di reazioni a catena che scandiscono i fenomeni – sia diventato così lampante, anche così schematico, sinottico, da risultare stupefacente. Un senso profondo che però risiede in superficie, in tutta la materia più esplicitamente visuale di cui è intrisa l’attualità: sulla superficie delle apparenze, o al grado massimo di degrado di questo apparire, sulla superficialità fotografica, fotoromanzesca dei social. È il caso della «storia» Instagram della ministra dell’Università e della ricerca in occasione del giuramento al Quirinale: apoteosi «godardiana», specie di Histoire(s) du cinema – per quell’interazione di testo, immagine, sonoro, tipica di Godard (se solo fosse vivo e avesse visto…) –, trionfo scatologico, forse anche escatologico se si ammette una certa coincidenza oggi tra il cacofonico e il mistico, in cui l’immagine – i saloni dorati, esausti della loro stessa luce macilenta, gli specchi, i pavimenti lustri, traslucidi – dialoga con il «letterario» – il testo «adesso giura» sostenuto da un cuore tricolore – e con la musica, la canzone Ti appartengo di Ambra Angiolini. Anche in prodotti come questo è forse possibile trovarvi vie di fuga utili a forme di vita in mutazione, proprio dentro questo sistema, con pragmatismo e senso di sopravvivenzaQuesta è la politica oggi, quella più reazionaria (e pecoreccia) stando anche solo ai contenuti e ai toni sciorinati in campagna elettorale e negli ultimi tempi: rigurgito razzista, omofobo, oscurantista, maschilista – nonostante, o proprio perché, risuoni un nome femminile nei saloni rococò del potere –, che risale, acido, stantio, fino in superficie e si mostra, cioè semplicemente è, nell’estetica triviale di questa destra intenta a montare su Instagram le proprie histoires; nel cattivo gusto più estremo e compiaciuto, cioè più mortifero, la morte che esala dal brutto.

NON C’È BISOGNO di alcuna sintesi di complessi, sottesi processi sociologici che diano il senso del contemporaneo: la sintesi è tutta qua, nuda, oscena, davanti ai nostri occhi. E non si tratta solo dell’oscenità destrorsa, cioè di tutta una cultura della violenza che si rivela esemplarmente nel pecoreccio. Ma di un cortocircuito tra questa estetica-della-morte, le regole, le stretture che questa ideologia impone, imporrà (neppure il tempo di insediarsi e già si pensa di mettere mano alla 194), e la vita che si svolge, si libera, giorno dopo giorno, spontanea, alla luce del sole, alla ricerca delle innumerevoli forme che l’esistenza, l’io, possono, devono assumere. E allora, ecco il cortocircuito e la sintesi, ecco la sintesi del contemporaneo in quanto cortocircuito eloquente: mentre il governo si insedia (e altri simili governi si fortificano), celebrandosi per giunta nelle histoires, e lasciando presagire ogni tipo di restrizione, di contenzione della vita, è a disposizione di tutti su Prime Video la serie Prisma, pur sempre un prodotto venduto da un colosso del potere economico e massmediale, che comunque incita a una vita libera, eterodossa, inclusiva, come già faceva Sex Education, forse perché tutto ciò conviene anche dal punto di vista dei mercati: il liberismo che ammicca alla sinistra, ad alcuni principi della sinistra (come già Mark Fisher aveva notato), perché valorizzabili, spendibili, contro la chiusura delle estreme destre.

SE SEMBRA impossibile prescindere da questa regola degli utili, forse è possibile trovarvi vie di fuga utili a forme di vita in continuo divenire, proprio dentro questo sistema, con pragmatismo e senso di sopravvivenza, quello di chi sa che ha perso contro il capitalismo, mentre la battaglia sul terreno dei diritti civili è ancora tutta da combattere. Su questo che la sinistra può riconoscersi e compattarsi, insieme alla tutela dei lavoratori: la difesa dei diritti civili e delle vie di fuga utili al divenire della vita, dell’io, riscontrabili dentro la società degli utili.

«Io è un altro» scriveva Rimbaud nella Lettera del veggente. Ed è ciò che emerge da Prisma, congerie d’io, adolescenti, alla ricerca della propria alterità, della propria mutazione oltre che maturazione. Che era anche il senso di Sex Education, nella misura in cui prediligeva la commedia. Prisma, prodotto da Cross Production, concepito da Alice Urciolo e Ludovico Bessegato il quale ne è anche il regista, intessuto di una colonna sonora policroma (tra Andrea Laszlo De Simone, Lea Porcelain, Underworld ecc.) e recitato magnificamente da un gruppo di giovani attori, su cui spiccano Mattia Carrano e Chiara Bordi, percorre piuttosto la via del dramma, ma sembra prendere in prestito dalla serie inglese il metodo didattico, sinottico, come se lo schermo fosse una lavagna di una scuola su cui tracciare schemi atti all’apprendimento, nel momento in cui presentano vari, variopinti casi di identità e alterità facendoli passare per normali.

E ALLORA, negli schemi (e schermi) di questa educazione sentimentale, è normale la bellezza (vertiginosa, ipnotica) di Carola nonostante abbia una gamba artificiale; così come lo è la possibilità che lei possa reperire facilmente la cosiddetta pillola del giorno dopo; è normale la transizione sessuale di Raffa; il lento scoprirsi omosessuale o forse bisessuale (con un certo gusto per il travestimento) da parte di Andrea; e l’apertura di Daniele, cantante trap, di fronte a questo orizzonte di permutazione identitaria, sessuale; e alla fine – forse la scena più struggente di tutta la serie – anche la comprensione, l’abbraccio così semplice, naturale, da parte di un genitore di fronte alla confessione di un figlio: ferma la macchina, parte Pulsar di YOUAREHERE e «non so’ scomode ‘ste scarpe?».