A veicolare in Occidente l’immaginario del Sol Levante, isolato dal resto del mondo fino alla firma del trattato commerciale di Kanagawa con gli Stati Uniti il 31 marzo 1854, sono state in parte le parole scritte. Parole come quelle che accompagnavano le descrizioni delle stampe giapponesi (ukiyo-e), analizzandone le qualità estetiche con un senso critico in cui è evidente anche la constatazione delle analogie formali tra la cultura nipponica e quella occidentale, in particolare francese: ad affermarlo erano i fratelli Edmond e Jules de Goncourt nel loro Journal del 1854.

È ancora Edmond ad annotare – dieci anni dopo – «Questa sera il sole sembra un’ostia di ceralacca color ciliegia, incollato al cielo sopra ad un mare color perla. Solo i giapponesi hanno osato, nei loro album colorati, trasmettere questi strani effetti naturali.»
I de Goncourt erano collezionisti e frequentatori del negozio «La Jonque Chinoise» che Madame Desoye – «donna d’affari intelligente» come la descrivono – aveva aperto con il marito nel 1862 in Rue de Rivoli a Parigi. Lì vi si potevano trovare oggetti importati dalla Cina e dal Giappone: stampe, ventagli, ceramiche, kimono, paraventi.

Un altro mercante e critico esperto di arte giapponese era Siegfried Bing, ideatore e fondatore della rivista mensile Le Japon Artistique (1888-1891) che contribuì a veicolare il Giapponismo (o Japonisme), ovvero la moda del Giappone con il desiderio di un altrove immaginifico, che si diffuse a partire dalla seconda metà del XIX secolo anche attraverso le Esposizioni Universali. All’Exposition Universelle de Paris del 1867 partecipò anche il Giappone (dopo quella di Londra del 1862) con il padiglione nazionale in cui, per la prima volta, vennero esposte opere e manufatti provenienti dall’antica provincia feudale di Satsuma e dalla prefettura di Saga. Parigi è una città fondamentale anche nella storia della famiglia Bonaparte-Primoli, crocevia di quell’entusiasmo di cui è testimone la mostra Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente, curata da Elena Camilli Giammei, Laura Panarese e Marco Pupillo al Museo Napoleonico di Roma (fino all’8 settembre), promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

Kakemono con piante fiorite e uccello, 1875-1884 (Fondazione Primoli) ©Arte fotografica Roma

Tra fotografie d’epoca, libri, diari, carteggi e memorabilia come il menù della cena di gala a Ismailia per l’inaugurazione del Canale di Suez il 18 novembre 1869 o il biglietto da visita del 1880 di Ismail Pascià (già chedivè d’Egitto) – tutti provenienti dalle collezioni del Museo Napoleonico e dal Fondo Archivistico Primoli – c’è anche una serie di quattordici kakemono (letteralmente «cosa appesa» o kakejiku «rotolo sospeso») dei cinquanta appartenuti a Giuseppe Primoli (Roma 1851-1927) e il ventaglio di seta con paesaggio giapponese dal titolo La discesa delle oche selvatiche a Katata (dipinto intorno al 1880 da Giuseppe De Nittis) che riflettono il valore del bagaglio culturale del viaggio ad est. Oggetti che oltre alle qualità intrinseche sono impreziositi dalle storie che portano con sé. I soggetti dei rotoli verticali appartengono per lo più al genere tradizionale kacho-ga («pittura di uccelli e fiori»), la curiosità è che sono stati usati come «contenitori» di autografi dei protagonisti della cultura contemporanea che il conte Primoli collezionò nel tempo.

Da Garibaldi a Edmond de Goncourt, Mallarmé, Zola, de Maupassant, Valéry, D’Annunzio, Verga, Carducci, Matilde Serao, Eleonora Duse: del tutto fuori luogo, invece, la firma di Benito Mussolini, tra quelle «fatte apporre successivamente alla scomparsa del conte, nel periodo del Governatorato, da Diego Angeli, primo curatore del Museo Napoleonico.» Quanto al ventaglio fu dipinto ad acquarello dal pittore italiano «della vita moderna» per la principessa Mathilde Bonaparte che lo donò al nipote Giuseppe Primoli: al Museo Napoleonico si conserva anche un positivo alla gelatina al bromuro d’argento della fine del XIX secolo in cui la zia e il nipote Gégé (come era chiamato in famiglia) posano nel salotto.

Figlio di Pietro Primoli, conte di Foglia e Carlotta Bonaparte (a sua volta figlia di due cugini Bonaparte), Giuseppe trascorse l’infanzia e gli anni della formazione nella Parigi del secondo Impero, insieme ai fratelli Napoleone (scomparso nel 1882 a 27 anni) e Luigi (Parigi 1858-Roma 1925), prima di stabilirsi a Roma.

Nel vivace salotto letterario di Mathilde Bonaparte ebbe certamente modo di frequentare anche i fratelli Goncourt e Pierre Loti, di cui possedeva i libri che vediamo esposti in mostra: La maison d’un artiste di Edmond de Goncourt (II tomo del 1881), così come Outamaro, le peintre des maisons vertes (1891) e il catalogo Collection des Goncourt. Arts de l’Extrême-Orient (1897). Di Pierre Loti possedeva l’edizione del 1888 del romanzo Madame Chrysanthème, fonte d’ispirazione anche per la Madama Butterfly di Giacomo Puccini.

L’amore di Primoli per l’oriente includeva anche l’Egitto, dove si recò due volte: la prima nel 1869 al seguito di un’altra zia, l’imperatrice Eugenia moglie di Napoleone III, per l’apertura del canale di Suez e la seconda nel 1905. Fotografo amateur, Giuseppe Primoli, che ha lasciato un archivio di circa 13mila tra negativi e diapositive su vetro, stampe all’albumina, carte-de-visite, album e negativi su pellicola in nitrato di cellulosa, collezionò anche numerose fotografie dedicate al tema «Masquerade exotique», i mascheramenti così diffusi nell’alta società ottocentesca per il Carnevale o le feste a tema.

Lo stesso conte appare in un tableau vivant in abiti mediorientali con una gentildonna vestita all’araba nella stampa all’albumina del 1880-89 circa, mentre suo fratello Luigi (detto Loulou) si autoritrae in costume indiano nel suo villino in via Sallustiana 53 (cartolina postale successiva al 1906).

Anche Luigi, come il fratello maggiore Giuseppe, era un appassionato fotografo – i due si scambiavano spesso l’attrezzatura fotografica e consigli tecnici – nonché animatore dell’Associazione degli Amatori della Fotografia in Roma; partecipò a numerose esposizioni e mostre fotografiche, vincendo anche dei premi.

A chiudere il percorso espositivo è proprio una piccola selezione delle sue fotografie di taglio antropologico, raccolte in parte nell’album «Mon voyage aux Indes 1905-1906» ed esposte precedentemente nella mostra L’istante ritrovato. Luigi Primoli fotografo in India, 1905-1906 al Museo d’Arte Orientale di Roma (2004). In quell’occasione fu pubblicato l’omonimo volume in cui le vicende biografiche dell’autore venivano ricostruite anche attraverso le lettere indiane e il diario in cui egli manifesta con estrema naturalezza la sua omosessualità e l’entusiasmo per i luoghi che visita e la gente che incontra.

Luigi partì per l’India alla fine del 1904 e vi rimase fino ai primi del 1906, attraversando il subcontinente indiano da Calcutta a Lahore, da Benares all’isola di Ceylon, da Bangalore alla regione del Kashmir. A Colombo, il 28 gennaio 1905, scrive: «Magnifico, unico. Mai visto niente di più bello. Il mio arrivo è stato annunciato dai giornali: un nipote di Napoleone a Colombo, con tutta la genealogia della famiglia e tutta la strada percorsa e da percorrere. Non si sa come facciano a sapere tutto.»