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Primo maggio, L’Avana chiama Caracas e viceversa

Primo maggio, L’Avana chiama Caracas e viceversaPrimo maggio a Cuba

Cuba Festa del lavoro dedicata alla solidarietà “antimperialista” con il Venezuela di Nicolas Maduro. Che aumenta salario e pensioni. Gli Usa: "Una brutta strada"

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 3 maggio 2015

Quest’anno, Cuba ha dedicato la festa del Primo maggio alla solidarietà “antimperialista” con il Venezuela di Nicolas Maduro. Quest’ultimo, infatti, era accanto al presidente cubano Raul Castro durante la ricorrenza, che ha avuto luogo sotto una pioggia battente. A guidare il corteo, i lavoratori del settore sanitario, che hanno partecipato alla lotta contro l’ebola in diversa città africane. Alla tradizionale sfilata hanno partecipato anche 2.000 delegati provenienti da 68 paesi. I lavoratori hanno chiesto al presidente Usa Barack Obama la fine del blocco economico contro l’isola, che persiste nonostante la riapertura del dialogo fra i due paesi e i segnali di disgelo provenienti dagli Stati uniti. Il Venezuela rischia di prendere il posto nelle ossessioni Usa contro “il pericolo rosso”. Il 9 marzo, Obama ha dichiarato il governo Maduro “una minaccia inusuale e straordinaria” e ha emesso un decreto di sanzioni, sull’onda di un pronunciamento di Camera e Senato. Al VII Vertice di Panama, che si è tenuto l’11 e il 12 aprile, e a cui per la prima volta ha partecipato Cuba, tutti i presidenti latinoamericani hanno sostenuto Maduro che ha raccolto in quella data 14 milioni di firme contro il decreto. Obama e il presidente venezuelano hanno anche avuto in quella sede un breve incontro bilaterale, ma il decreto non è rientrato.

Mercoledì, durante un’udienza del comitato per le Relazioni estere del Senato, il Segretario di stato, John Kerry, che in precedenza ha minacciato di “torcere il braccio” al governo venezuelano – ha ricominciato la litania: Caracas “continua a muoversi nella direzione sbagliata” – ha detto, e ha promesso di imporre nuove sanzioni. Quindi, ha intimato a Maduro di “liberare i prigionieri politici, incluso le decine di studenti”. Per marcare ulteriormente la posizione, il 14 maggio Washington consegnerà un premio al leader della destra venezuelana, Leopoldo Lopez, in carcere con l’accusa di aver diretto le proteste violente contro il governo l’anno scorso (43 morti e oltre 800 feriti). Un insulto “ai famigliari delle 43 vittime”, ha ribattuto da Caracas il presidente dell’Assemblea, Diosdado Cabello: “Gli Stati uniti, ha detto, si preoccupano di premiare i responsabili di atti terroristici del febbraio 2014 e non delle violente repressioni contro le comunità afrodiscententi”. Insieme ad altri leader delle destre oltranziste (già coinvolti nel golpe contro Chavez nel 2002 e poi amnistiati da lui), Lopez ha promosso la campagna “la salida” (l’uscita), per cacciare Maduro dal governo con la forza. Dopo di lui, a seguito di un recente golpe sventato, in cui risultano coinvolti ufficiali dell’aviazione, è andato in carcere anche il sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma, ora agli arresti domiciliari per motivi di salute.

A consegnare il premio alle mogli di Lopez e Ledezma ci sarà Felipe Gonzalez, del Psoe, presidente del governo spagnolo tra il 1982 e il ’96. Gonzalez è stato dichiarato “persona non grata” dal parlamento venezuelano, ma ha dichiarato che intende entrare comunque a breve in Venezuela. Insieme ad altri ex presidenti che fanno parte del Club di Madrid, Gonzalez anima una furibonda campagna contro il governo Maduro, come già era accaduto con Chavez. Anche l’ex presidente messicano Vincente Fox ha dichiarato che Maduro “va per la cattiva strada e deve essere raddrizzato con interventi e azioni esterne”. Il Club di Madrid, che aizza e foraggia le destre di opposizione, ha consegnato un appello a Obama per chiedere “la transizione” in Venezuela, in linea con la campagna denominata “la salida” e con un manifesto che avrebbero diffuso i golpisti se non fossero stati scoperti e neutralizzati.

Per Gonzalez (a suo tempo promotore degli Squadroni della morte denominati Gal e scatenati contro i militanti baschi), il sistema auspicabile in Venezuela è invece l’alternanza tra centro-destra e centro-sinistra, in vigore negli anni della IV Repubblica. Anni in cui il 30% della popolazione ha controllato il 61% della ricchezza nazionale. Disuguaglianze, fame e prezzi stellari, spinsero la popolazione dei quartieri poveri alla rivolta spontanea dell’89, denominata il Caracazo. Per i manifestanti, allora, Ledezma chiese il pugno di ferro, e il presidente di centro-sinistra Carlos Andréz Pérez mandò i soldati a sparare sulla folla (più di 2.000 morti). La crisi del balletto elettorale vigente allora, disertato sempre di più da chi non si sentiva rappresentato ha portato all’esplosione di una nuova alleanza sociale, che ha scompaginato gli aggregati politici tradizionali: e che in qualche modo oggi fa da stimolo a nuove formazioni politiche come Podemos in Spagna.

Oggi, in Venezuela, nel “socialismo umanista” innescato da Chavez, i salari aumentano e la disoccupazione diminuisce e il governo dedica oltre il 60% agli investimenti sociali. In pochi anni, la Mision Vivienda ha costruito in tutto il paese 700.000 case popolari per chi ne ha bisogno, completamente arredate. L’obiettivo è di arrivare ai 3 milioni entro il 2019. Nello stato del Delta Amacuro, dove le popolazioni indigene si spostano ancora sulle canoe e vivono sul fiume, si stanno costruendo case popolari su palafitte, per mantenere l’architettura originaria. Un indirizzo inverso a quanto avviene in Europa, dove i rom, anche se nati nel paese, vengono discriminati e scacciati. Negli ultimi 16 anni, sono stati creati 4.793.908 posti di lavoro. In questo modo, la disoccupazione è scesa dal 14,5% del 1999 al 5,5% di fine 2014.

“I lavoratori devono prendere in mano le leve produttive del paese”, ha detto ieri Maduro durante il Primo maggio “antimperialista” che si è svolto in Venezuela. Negli ultimi 16 anni, il governo ha decretato 28 aumenti del salario minimo, estesi anche ai pensionati: 29 a partire dal Primo maggio di quest’anno, perché è entrato in vigore un ulteriore aumento del 30%. Il primo 20 %, è già operativo, l’altro 10% verrà applicato a partire dal 1 di luglio.

Un esempio ora ripreso anche dalla Bolivia, dove il presidente Evo Morales ha a sua volta annunciato un aumento del salario minimo.

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