Primo Levi, la fantabiologia per uscire dall’orrore
Eduardo Paolozzi, Figure with Raised Arm, 1955
Alias Domenica

Primo Levi, la fantabiologia per uscire dall’orrore

Novecento italiano Strambi elettrodomestici, mutazioni della specie umana, incroci tra animali e vegetali... Nuova edizione Einaudi per Storie naturali, i racconti pubblicati da Levi mentre sta scrivendo La tregua, e raccolti nel ’66 sotto pseudonimo. Esce anche la bibliografia completa dello scrittore (Einaudi) a cura di D. Scarpa
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 18 settembre 2022

All’inizio degli anni sessanta, quasi tre decenni prima che il più popolare Homer si affacciasse sugli schermi televisivi d’oltreoceano, di un altro strampalato Simpson si raccontano le storie su alcuni periodici italiani («Il Mondo», Il Giorno ecc.).

Di professione agente rappresentante di una non meglio precisata società americana, la NATCA, questo signor Simpson è impegnato a piazzare le novità tecnologiche della sua ditta: si tratta di strambi apparecchi la cui finalità è comunque sempre quella di sostituire, surrogare le facoltà primarie dell’uomo: quella creativa (il Versificatore è in grado di comporre poesia su qualsiasi argomento), quella dell’individualità e unicità (il Mimete, una stampante 3d ante litteram, può riprodurre qualsiasi cosa, anche una persona), quella del giudizio estetico (il Calometro è un misuratore di bellezza), perfino quella fondamentale della distinzione tra realtà e finzione (nell’ultimo racconto il Torec è una macchina che consente di fare esperienze virtuali, e alla fine schiaccerà lo stesso signor Simpson sotto il peso di una dipendenza assoluta).

Queste invenzioni, o meglio questi «elettrodomestici da maschi» come benissimo li definiscono Domenico Scarpa e Martina Mengoni, curatori della nuova edizione per Einaudi «Letture» (Storie naturali, pp. XIV-280, euro 20,00), sono il punto di partenza di una serie di racconti in cui Primo Levi, facendo leva sul presente – quello relativo a un boom economico che si avvia a entrare nel suo cono d’ombra ma che intanto ha cambiato usi e costumi degli italiani trasformandoli in consumatori accaniti bisognosi di sempre nuovi stimoli –, immagina un futuro dai tratti oscuri e inquietanti.

Ma a definire ancor più la prospettiva distopica che nel complesso caratterizza l’intera raccolta sono i tre racconti di ambientazione tedesca legati al tema della sperimentazione medica su esseri umani: «brutti sogni in forma di racconto», li chiama Levi, che affrontano temi come quello della natura umana e delle sue possibili mutazioni (Angelica farfalla), della possibilità di convertire il dolore in piacere (Versamina), dell’ibernazione come forma di «allungamento» della vita e di trasmissione al futuro (La bella addormentata nel frigo). Fantascienza, dunque, come chiedeva provocatoriamente la fascetta che accompagnava la prima edizione? No, non semplicemente. Con più precisione direbbe, anzi ha detto, Calvino: «fantabiologia».

E a confermare l’inedita etichetta è la perla del libro, quella Quaestio de centauris in cui Levi narra la follia d’amore del centauro Trachi e trova modo di raccontare l’origine della specie definendo i contorni di una nuova creazione, a partire da una panspermia che favorisce l’incrocio tra specie animali e vegetali ma anche organiche e inorganiche (un tema su cui lo scrittore tornerà in seguito in alcuni racconti di Vizio di forma e di Lilìt).

Ora, va tenuto presente che Levi compone e pubblica la maggior parte di questi testi (tranne il primo che è datato addirittura 1948) mentre sta scrivendo La tregua (che uscirà nel 1963), ossia il suo secondo libro di memoria e di testimonianza, quello che gli darà finalmente il successo. La forma-racconto allora rappresenta per Levi, consciamente o inconsciamente, una possibile via d’uscita, il tentativo di smarcarsi dall’etichetta di scrittore-testimone che inevitabilmente comincia a sentire appiccicata sulla pelle; ma è anche la conferma di una vocazione alla letteratura che è avvertita e alimentata prima e al di là della drammatica esperienza del Lager. Eppure, una certa difficoltà di conciliazione tra questi due percorsi pare evidente allo stesso Levi, il quale nel momento di raccoglierli in volume accetta di buon grado la proposta dell’editore di utilizzare uno pseudonimo: i quindici racconti di cui si compongono queste Storie naturali escono infatti per Einaudi nel 1966 con l’indicazione di Damiano Malabaila come autore (va detto però che Levi stesso nella quarta di copertina non fa nulla per nascondere la vera paternità dell’opera).
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i tratta in ogni caso di un passaggio fondamentale per la consapevolezza di Levi scrittore, il quale sottolinea significativamente non tanto la diversità quanto la coerenza della sua ispirazione: «fra il Lager e queste invenzioni una continuità, un ponte esiste: il Lager, per me, è stato il più grosso dei “vizi”, degli stravolgimenti (…), il più minaccioso dei mostri generati dal sonno della ragione». Al contrario di quelli di Kafka, gli incubi letterari di Levi non nascono da un inconscio indomabile, e non si prestano a una lettura in chiave allegorica. È per questo che Levi può parlare di «racconti-scherzo, trappole morali magari divertenti [oltre che inquietanti] ma distaccate, fredde». E allora, seguendo Levi su questa strada il nome e l’opera che vale la pena di citare per cogliere l’orizzonte d’azione di questi testi è quello di Leopardi e delle sue Operette morali.

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La bibliografia di uno scrittore, ossia l’elenco ordinato e indicizzato della sua produzione letteraria e della sua attività, è una faccenda per specialisti, c’è poco da fare. Solo chi si occupa per professione di Primo Levi può disporre utilmente di un libro siffatto. E poi, in un’epoca di grande sviluppo degli archivi digitali e delle cosiddette digital humanities una bibliografia cartacea è del tutto anacronistica, un ponte nel vuoto per chi ritiene ormai come cosa salda solo il terreno – peraltro virtuale e mobile – della rete.

E allora, perché ha senso occuparsi di questa Bibliografia di Primo Levi ovvero Il primo atlante (Einaudi, pp. LIII-334, euro 26,00)? Perché anzi festeggiare l’uscita di un’opera così apertamente fuori tempo e fuori moda? La retorica implicita nell’avvio di queste righe e nelle conseguenti domande, legittime ma frettolose e superficiali, è neutralizzata con efficacia dal curatore del volume, Domenico Scarpa, appassionato e scrupolosissimo studioso dell’opera di Levi (e non solo). Nelle pagine introduttive Scarpa difende questo lavoro invitando innanzitutto a cogliere nella sequenza di voci che in ordine cronologico censiscono la produzione leviana – quella letteraria ma anche gli appelli pubblici, le interviste e inoltre, aspetto notevolissimo, la scrittura epistolare – il carattere narrativo, di storia umana e intellettuale che si fa e sviluppa nel corso degli anni restituendo il tracciato concreto, materiale di un’opera multiforme ma imprescindibile per la nostra tradizione, non solo moderna. In effetti, la natura fondamentalmente narrativa di questo lavoro è apprezzabile almeno da due punti di vista.

In primo luogo la struttura del Primo atlante (titolo tratto da una poesia di Levi) permette subito di documentare un’attività letteraria instancabile, che va dal 1937 (con la prima poesia, Voi non sapete studiare!, pubblicata nel giornalino del liceo «Massimo D’Azeglio») all’anno della morte (1987) proseguendo, con le opere pubblicate postume, fino al 2021, segno di un’attenzione all’opera leviana che negli anni non è mai venuta meno.

Non meno interessanti da questo punto di vista le sezioni della bibliografia relative alle lettere pubbliche e alle interviste che documentano la paziente e tenace attività di Levi, la sua generosità nella partecipazione pubblica e nella testimonianza. Come nota lo stesso Scarpa le schede relative alle interviste ci danno immediatamente la misura della ricezione piuttosto tarda di Levi scrittore. Basti pensare che se la prima edizione di Se questo è un uomo è del 1947 e la seconda e definitiva è del ’58, le prime interviste segnalate in merito sono solo del ’63: una partenza sottotraccia, ma certo poi inarrestabile (nell’anno che precede la morte si contano ben trenta voci!).

Un secondo apprezzabile elemento di narratività in queste schede riguarda le singole voci: Levi è uno scrittore in primo luogo di racconti, di scritti brevi, su cui più volte è ritornato riproponendo il medesimo testo in nuove versioni, anche molto diverse. Questa bibliografia è stata concepita in modo tale da permettere di avere immediatamente sott’occhio la storia editoriale di ogni singolo scritto pubblicato da Levi. Insieme al valore narrativo che ha a che fare con l’estensione temporale racchiusa in nuce nella singola voce, si coglie qui pure la vera e propria prospettiva dell’Atlante, della mappa che lega i singoli punti di un arcipelago di testi anche lontani nel tempo e disparati nelle sedi editoriali permettendoci, per così dire, di maneggiarli senza difficoltà.

Ecco, in definitiva è proprio questa la ragione principale che deve aver convinto l’editore a produrre una versione cartacea della bibliografia leviana: il senso insostituibile di tenere in mano, di «pesare» (ma chissà se il Levi chimico avrebbe approvato in questo caso l’uso metaforico del verbo) i non pochi fogli a cui è affidata un’opera letteraria e un’avventura umana e culturale davvero straordinarie. L’invito dunque, che è già del curatore del volume, è quello di affidarsi a queste voci, di considerare ciascuna di esse come «una porta socchiusa», via d’accesso all’intero.

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