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Prima i raid, poi le incursioni: decine di arresti a Gaza nord

Feriti vengono trasportati verso l'ospedale dopo un attacco israeliano a Deir al-Balah, Gaza foto Getty ImagesI feriti in un raid israeliano su una bancarella di verdure a Deir al-Balah – Afp/Saeed Jaras

Palestina Diciassette giorni di assedio israeliano, famiglie divise e bombardamenti a tappeto. Onu: pericolo di distruzione del popolo palestinese. In due settimane 640 uccisi nelle città settentrionali. Tajani a Tel Aviv annuncia 15 camion umanitari, ma quelli che ci sono non passano

Pubblicato 4 giorni faEdizione del 22 ottobre 2024

«Gli Stati uniti e i paesi europei…ritengono che le spiegazioni del governo (israeliano) non coincidano le operazioni dell’esercito sul campo». Ieri l’analista Amir Tibon, su Haaretz, riportava della convinzione crescente tra le cancellerie occidentali: Israele dice di non voler svuotare il nord di Gaza dei suoi abitanti palestinesi, ma nessuno ci crede.

Tibon ha raccolto le voci di diversi diplomatici occidentali, ormai convinti che l’assedio totale del nord della Striscia non sia volto – come dice Tel Aviv – a distruggere l’infrastruttura militare di Hamas ma a mettere in pratica il famigerato «Piano dei Generali», ovvero «rimuovere l’intera popolazione civile e trasferirla a sud, oltre il corridoio Netzarim».

A spingere in questa direzione, continua Tibon, c’è il blocco degli aiuti umanitari che a nord non si vedono dal primo ottobre, «una mossa che il mondo ha interpretato come il tentativo di affamare la popolazione».

LE PREOCCUPAZIONI europee e statunitensi (che non si traducono in alcuna misura pratica di pressione su Tel Aviv, se non – scrive Haaretz – lettere e messaggi) a Gaza sono vissute in tutt’altro modo. Terrore e lotta per sopravvivere.

Gli ultimi giorni hanno visto l’intensificarsi della violenza militare perpetrata a nord, con l’apice toccato nella notte tra sabato e domenica: un attacco aereo durissimo su un palazzo di Beit Lahiya ha ucciso almeno 73 palestinesi e ne ha feriti un centinaio.

Le notizie che giungevano quella notte ridavano indietro, attutito, l’orrore: donne e bambini tra le vittime, nessun avvertimento nei minuti precedenti, l’edificio collassato su se stesso, l’intera città che tremava e i soccorritori bloccati dai continui bombardamenti.

Molti feriti, avverte il direttore dell’ospedale Kamal Adwan, Hossam Abu Safia, non sopravviveranno: manca tutto; i dispersi non saranno recuperati, mancano i mezzi. Domenica l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha parlato del pericolo che l’offensiva israeliana a nord «possa causare la distruzione del popolo palestinese attraverso morte e sfollamento».

Parole durissime, che si traslano in quel «genocidio plausibile» che la Corte internazionale di Giustizia ha già individuato 10 mesi fa.

IN QUEL PEZZO di Gaza non entrano cibo e medicine da oltre venti giorni, 400mila persone sono in trappola e da domenica, dopo i raid a tappeto, le forze israeliane sono avanzate via terra compiendo violente incursioni dentro i rifugi degli sfollati.

I giornalisti riportano le testimonianze raccolte: «Ci hanno costretto a lasciare la scuola – racconta una donna a Middle East Eye – Hanno arrestato tutti gli uomini e hanno cacciato noi donne, a gruppi. Non ci siamo portate nulla con noi, neanche il latte per i bambini».

L’Alto commissariato ha ricevuto le stesse segnalazioni: palestinesi in fuga presi di mira dai cecchini, distruzione dei rifugi (come quello intorno all’ospedale Indonesiano di Beit Lahiya, dato alle fiamme), famiglie separate con decine di uomini arrestati. Ieri nel nord di Gaza, tra l’alba e il primo pomeriggio sono stati uccisi 33 palestinesi, dicono fonti mediche.

Il bilancio degli ultimi 17 giorni di assedio è di almeno 640 vittime solo in quella porzione di Gaza. A sud ieri la protezione civile ha recuperato cinque cadaveri a Rafah, altri due a Gaza City.

IL MASSACRO peggiore è accaduto di nuovo a Jabaliya, il campo profughi del nord, con 18 uccisi: «La gente riempiva i container dell’acqua quando è stata colpita», riporta il giornalista Ibrahim al-Khalili. L’Onu ha invece denunciato raid contro tre scuole Unrwa e un gruppo di case demolite a Jabaliya e il diniego ricevuto da Israele, per il quarto giorno di fila, a entrare a Jabaliya.

In tale contesto la diplomazia è un fantasma che si aggira su Gaza. Se domenica Amnesty ha chiesto ai paesi europei l’embargo totale di armi a Israele, i paesi occidentali alleati non agiscono.

Ieri il presidente francese Macron da Parigi e il ministro degli esteri italiano Tajani a Tel Aviv (e oggi arriva il segretario di stato Usa Blinken) hanno ribadito la «strategia»: pressioni a parole sul governo israeliano, addirittura sulla soluzione a due stati. Tajani, prima di lasciare Tel Aviv e Ramallah (ha incontrato entrambe le leadership in mezza giornata) ha annunciato l’invio di 15 camion di aiuti italiani nell’ambito del suo programma Food for Gaza.

MA DI CAMION in attesa in Egitto ce ne sono migliaia, il problema non è la mancanza di aiuti: è che Israele non li fa entrare. «(L’esercito) invade le case, caccia i residenti – scrive la giornalista Hind Khoudary da Deir el-Balah – Le persone chiedono aiuto, registrano video mentre sono in trappola. Senza cibo, senza niente».

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