Il cinema documentario in Italia diviene tra gli anni Quaranta e Sessanta una vera e propria scuola di formazione per i registi del futuro. Questa dimensione tuttavia non va assolutamente interpretata in chiave didascalica o riduttiva perché proprio le condizioni dell’Italia, uscita sconfitta da un conflitto mondiale e soprattutto logorata e rinchiusa da vent’anni nella bolla autarchica della dittatura fascista, necessita di sviluppare un nuovo sguardo sul reale. E se il neorealismo interpreta pienamente questa urgenza è nel documentario che prende forma una vera e propria palestra che vedrà misurarsi alcuni tra i più grandi autori della cinematografia italiana degli anni a venire, basti citare tra gli altri Luciano Emmer, Valerio Zurlini, Ermanno Olmi e Michelangelo Antonioni. Ovviamente non si tratta solo di una questione di genere cinematografico, ma anche di una condizione sostanziale.

IL CLIMA dell’epoca fu favorevole allo sviluppo del documentario anche per le condizioni economiche che ne favorirono la fioritura. E attorno al cinema documentario si sviluppa il prezioso testo di Cosimo Tassinari, Il cinema documentario italiano 1940-1960 (Marsilio), una ricerca tanto puntuale quanto godibile. Quello che si dipana pagina dopo pagina è infatti una vera e propria avventura tanto artistica quanto imprenditoriale condita da figure che alternano improvvisazione a eroismo, visionarietà a un più o meno brillante dilettantismo. Tassinari date le premesse artistiche di altissimo valore delle figure autoriali coinvolte in quegli anni, va a focalizzare il suo discorso sugli aspetti produttivi ed economici che determinarono la nascita e il successo di una cinematografia ancora oggi ritenuta, a torto, minore o comunque di nicchia. Figlio di una cultura cinematografica d’impianto fascista, soprattutto nell’ottica di piegare il mezzo cinematografico a elemento moderno di propaganda, il cinema documentario nasce nell’ambito della Scuola Nazionale di Cinematografia che dal 1935 apre i suoi corsi, così come nei Gruppi Universitari Fascisti, i GUF che covarono negli anni Quaranta una generazione in parte di antifascisti.

IL DOCUMENTARIO diviene così successivamente elemento portante anche di una nuova propaganda repubblicana, quando dopo la caduta del fascismo sarà necessario restituire un’idea di paese durante la sua ricostruzione. E saranno le riforme avviate tra il 1945 e il 1948 a porre le basi di una vera e propria cinematografia sempre in fragile equilibrio tra libertà e censura (le disposizioni date da Giulio Andreotti sono di per sé un testo rappresentativo del carattere del tempo e anche dell’Italia), ma anche originale e innovativa che solo lo sviluppo televisivo della fine degli anni Cinquanta metterà in crisi connotando il documentario più come oggetto pedagogico che artistico. La ricerca di Tassinari è fondamentale perché indaga un aspetto poco rilevato della cinematografia italiana che si connette con una contemporaneità che vede la rinascita del documentario come strumento di racconto e insieme di sperimentazione.