Internazionale

Prigionieri politici in sciopero della fame

Prigionieri politici in sciopero della fameUn cartello per Ibrahim Halawa, in basso un murales per la liberazione di Alaa

Il Cairo Fratelli musulmani e dissidenti laici di sinistra. Come Alaa Abdel Fattah che sconta una pena di 15 anni per aver violato la legge anti-proteste

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 23 agosto 2014

I prigionieri politici egiziani hanno iniziato lo sciopero della fame. A dare il via all’opposizione non violenta nelle carceri erano state le migliaia di Fratelli musulmani in prigione, dopo l’elezione di Abdel Fattah al-Sisi alla presidenza della Repubblica, nonostante il boicottaggio del voto della maggioranza degli egiziani, nel maggio scorso. Tra loro citiamo Ibrahim al-Yamany e Mohamed Soltan in sciopero della fame da mesi. E Ibrahim Halawa, 18 anni, arrestato la scorsa estate in piazza Ramsis e in prigione senza accuse precise. Anche le sue sorelle, con lui al momento dell’arresto, detenute nella prigione per donne di Qanater, hanno iniziato lo sciopero della fame lo scorso 8 agosto.

A loro si sono aggiunti in questi giorni, attivisti laici e di sinistra. A cominciare da Alaa Abdel Fattah, che sconta una condanna a 15 anni di reclusione e al pagamento di una multa pari a 100 mila ghinee (11 mila euro) nella prigione di Tora per aver partecipato a una manifestazione nel novembre scorso in violazione della legge anti-proteste. Alaa ha iniziato lo sciopero dopo aver fatto visita in ospedale al padre Ahmed Seif al-Islam, anziano avvocato che dirige il centro per la difesa dei diritti umani Hisham Mubarak, in gravi condizioni di salute. Alaa appartiene infatti ad una famiglia di noti attivisti egiziani di sinistra, inclusa la zia, la scrittrice Ahdaf Soueif, e la sorella Sanaa, anche lei in carcere dallo scorso giugno con le stesse accuse.

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Alaa è stato detenuto tre volte dall’inizio delle rivolte nel gennaio 2011 e ha spesso denunciato gravi episodi di tortura in carcere, a cui ha assistito direttamente. Allo sciopero di Alaa si sono aggiunti il fondatore del movimento, messo fuori legge, 6 Aprile, Ahmed Maher, gli attivisti Mohamed Adel, Ahmed Douma e il fotoreporter Mohamed al-Noubi. Il processo a carico di Douma è stato rinviato per mesi e dovrebbe aver luogo il prossimo 3 settembre. Douma dovrebbe comparire davanti ai giudici insieme ad altri 269 attivisti, accusati di aver attaccato le forze di sicurezza e di possesso di armi in riferimento a varie manifestazioni, che hanno avuto luogo al Cairo nel 2011 alle porte del palazzo del governo in via Qasr al-Aini. È poi ancora in carcere l’attivista, vicina al movimento operaio, Mahiennur el-Massry, condannata dalla Corte di Alessandria a due anni di reclusione, in seguito ridotti a sei mesi.

Come se non bastasse, a conferma che nel mirino sono principalmente i movimenti giovanili, il ministero dell’Educazione ha annunciato la messa al bando di ogni attività politica all’interno degli atenei. La censura delle associazioni universitarie entrerà in vigore con l’avvio dell’anno accademico. La Rete araba per i diritti umani (Anhri) ha duramente criticato la decisione definendola «una grave violazione dei diritti umani, delle libertà di espressione, a detrimento della partecipazione politica». I campus egiziani sono stati al centro delle proteste contro il colpo di stato militare del 3 luglio 2013. In particolare il dormitorio dell’Università al-Azhar, a due passi da Rabaa al Adaweya, è stato teatro degli scontri più cruenti tra islamisti e polizia. Ma anche nel campus dell’Università di Ayn Shams si sono registrati duri scontri, morti e feriti negli ultimi mesi. Proprio piazza Nahda, dove sorge l’Università del Cairo, era stata scelta dagli islamisti per uno dei sit-in a sostegno della legittimità dell’ex presidente Mohammed Morsi, deposto dai militari ormai più di un anno fa. Per limitare il dissenso, gli atenei erano stati chiusi durante le elezioni presidenziali del maggio scorso che hanno incoronato Sisi nuovo presidente.

Da parte sua, Sisi procede a vele spiegate nel suo difficile tentativo di modernizzazione del paese. Dopo l’aumento dei prezzi di benzina, bollette, sigarette e alcolici, l’ex generale gioca la carta degli appalti pubblici. Non solo per raddoppiare il Canale di Suez ma anche per rifare il trucco ai centri urbani delle principali città egiziane. Per migliorare il trasporto pubblico (Morsi ci aveva provato tentando di regolamentare l’uso delle vespette-taxi: i tok tok), rinnovare piazze, strade, ravvivare il settore edilizio e limitare l’occupazione dello spazio pubblico da parte dei venditori ambulanti, Sisi si è incontrato con i governatori egiziani. Per attuare il suo piano però, il militare in giacca e cravatta non ha ascoltato i richiami del Consiglio di stato che aveva criticato l’esenzione sulle tasse per i beni immobili a club, alberghi, cliniche, ospedali ed edifici di proprietà dell’esercito.

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