Prigionieri dell’asfissia famigliare e politica
Narrativa «Tutti i calendari mentono» di Pasquale Vitagliano, per Giazira Scritture
Il titolo del romanzo di Pasquale Vitagliano Tutti i calendari mentono, edito da Giazira Scritture (pp. 266, euro 16,90), è una frase pronunciata da Nikolaj Vsevolodovic ne I demoni di Fëdor Dostoevskij. In effetti nel testo non si rintraccia una fedeltà alla linea del tempo, ma un incastro, un andirivieni che permette all’autore di creare un legame solido quanto irrazionale tra la storia di Tommaso e Sara e quella dell’Italia.
I due fanno sette figli, senza amarsi particolarmente, diventando una famiglia infelice non in un modo unico, come si legge nella famosissima citazione da Anna Karenina di Lev Tolstoj, al contrario in una maniera piuttosto comune, come, secondo Vitagliano, fanno tutte le famiglie.
Il racconto all’inizio del testo si concentra sul ménage tra Tommaso, Sara e sua suocera, il conflitto tra le due, le manie di Sara di mantenere la casa in ordine, nonostante la folla di persone che la abitano, le sue velleità di lavorare.
ACCANTO a queste dinamiche usuali, l’autore con uno stile schietto e preciso, racconta senza rispettare la linearità del calendario fatti salienti della storia italiana del ‘900: la privatizzazione e l’Eni, la terra dei fuochi, il crollo del ponte Morandi, la strage del Vajont…
Nel frattempo i figli di Tommaso e Sara diventano grandi: le loro storie si dipanano in una struttura che, seppur molto articolata, resta chiara. Conosciamo Teresa, che rimarrà a casa con sua madre, a causa di un amore infelice per Damiano e soprattutto della sua impossibilità a superarne il dolore. Pietro, che viene cacciato dall’arma dei carabinieri e inizia a soffrire di attacchi di panico, connessi molto probabilmente alla sua ipocondria. Lo confessa a sua sorella Cristina, l’unica che è stata in grado di allontanarsi davvero dalla famiglia.
NELLE PAGINE, insieme a informazioni e riflessioni concernenti scandali e anomalie della politica italiana, si ritrova la vita famigliare di un’altra figlia, Silvia, che si è sposata giovane e che da subito è stata inglobata nel clan di suo marito, dove si sono occupati di lei molto più di quanto non abbiano fatto Tommaso e Sara. E poi Filippo, Francesca, Giovanni… Ognuno di loro corrisponde in qualche modo a un tipo umano, che permette a Vitagliano, attraverso l’intreccio descritto, di tratteggiare un profilo dell’Italia: memorabili a tal proposito le pagine su Aldo Moro, sulla sua esperienza da ministro degli esteri e sulla sua opposizione all’egemonia degli Stati Uniti, che guida anche la decisione di Craxi a Sigonella, quando scelse di non consegnare agli Usa Abu Abbas, che aveva dirottato la Achille Lauro.
Il parallelismo tra la storia della famiglia di Tommaso e Sara, che ha come un’unica anomalia quella di essere così numerosa per l’epoca, e alcune vicende della storia italiana potrebbe leggersi come un’indagine sul paese a partire dal racconto del particolare, cioè un nucleo familiare, e dell’universale, vale a dire, per esempio, le ingerenze mortifere degli Stati Uniti nel nostro sistema. E sicuramente è così, ma c’è anche da parte dell’autore il desiderio di descrivere due organismi parimente asfittici in Italia, la famiglia: «una famiglia deve educare a separarsi Dobbiamo essere pronti alla separazione. Le separazioni ci salvano». E il nostro sistema politico.
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