Barcellona, febbraio 1976, sono passati tre mesi dalla morte di Francisco Franco. Manuel è in custodia cautelare. Quando potrà sedersi davanti a un giudice per reclamare la propria innocenza? L’avvocato d’ufficio è sbrigativo, ha troppi casi da seguire e, comunque, non saprebbe cosa rispondere. La legge percorre strade tortuose e lunghe, inutile tentare una previsione. La dittatura volge al termine, siamo nel mezzo della «transizione» ma, nel carcere, la democrazia è ben lontana dall’affermarsi.
Dopo il periodo di custodia potrebbe arrivare un verdetto di colpevolezza con una condanna a sei anni di reclusione. Insomma, per il giovane contabile si mette davvero male. Gli viene attribuita l’appropriazione indebita di quasi un milione di pesetas anche se lui afferma di averne sottratte solo cinquantamila.
Il mondo raffigurato in Prigione 77, il nuovo film di Alberto Rodríguez, appare inizialmente come un buco nero. Manuel, tra le quattro mura di una cella senza letto e acqua, è solo e non ha alcuna possibilità di salvezza, di trovare un alleato col quale affrontare il nemico.

È SOLO L’INIZIO, però. Il detenuto incontra i suoi simili, i compagni di un nuovo presente. Prigionieri politici, piccoli criminali, uomini condannati per i loro orientamenti sessuali. Vittime di un orrendo sistema giudiziario che non si arrende all’incedere degli eventi. È con questi complici improvvisati che Manuel si avvia alla lotta per i diritti di tutti, nessuno escluso. Si grida «amnistia» per dare un senso alla «transizione», a quel ricominciare da zero dopo gli orrori della dittatura. E come per tutte le battaglie, anche questa passa attraverso dolorose perdite, piccole conquiste, divisioni e unioni, senso di frustrazione e di onnipotenza.
Rodríguez è regista che attinge spesso dal passato della storia spagnola, rielaborata attraverso generi cinematografici. Prigione 77 è in quel solco, con un linguaggio fin troppo definito che non concede molto all’immaginazione, ma anche con una narrazione che genera personaggi e situazioni, che mostra la genesi di una rivolta e di una conquista fragile che non bisogna dare per scontata in Spagna come in Italia pensando, per esempio, ai fatti dell’Istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere.