Non sembra aver perso il senso del gusto, Chrissie Hynde, benché abbia scelto di aprire questo nuovo lavoro con un brano intitolato Losing My Sense Of Taste. Tantomeno appaiono smarrite le sue qualità sceniche e vocali, rimesse in campo quest’estate sul palco di Glastonbury, con Dave Grohl e Johnny Marr ospiti speciali sotto lo sguardo compiaciuto di Sir Paul McCartney. Quarantacinque stagioni alla guida dei Pretenders, tra punk, droghe, riflussi, derive pop, attivismo ambientalista, lunghi addii ed eterni ritorni: ma è ancora in piedi, come quel bambino coi guantoni raffigurato su un muro di Dublino e finito in copertina. Relentless, uscito per Parlophone, è quasi un sequel collettivo di Reckless, album solista del 2015 all’indomani del quale la Hynde era tornata con rinnovato vigore al timone della band, convinta di aver trovato in James Walbourne un nuovo guitar hero capace di assecondare i suoi versi come non accadeva dai tempi di James Honeyman-Scott, il cofondatore della band morto di overdose nel 1982.La 72enne songwriter può permettersi di spaziare tra tutti i suoi registri per rendere credibile la propria afflizione verso il tempo, le perdite che esso infligge, e la problematica accettazione di tutto ciò
TRA LE PROPRIETÀ di Relentless, infatti, spiccano proprio le chitarre e le loro progressioni armoniche, il cui percorso si fa particolarmente tortuoso in Domestic Silence e The Copa (dove però a un certo punto la fiducia nel cliché degli accordi sgranati e dati in pasto al vibrato è francamente eccessiva). Meno evidente ma altrettanto decisivo, l’esordio alla produzione di David Wrench, che tutela il sound classico dei Pretenders — in tracce quali A Love e Let The Sun Come In, a costo di ricorrere a riff e refrain dal sapore già sentito — e soprattutto la centralità della voce di Chrissie all’interno della soundbox. Da lì, la 72enne songwriter può permettersi di spaziare tra tutti i suoi registri per rendere credibile la propria afflizione verso il tempo, le perdite che esso infligge, e la problematica accettazione di tutto ciò: «The changes came fast, but the torments were slow» canta in Just Let It Go, probabilmente il punto più alto dell’album e della collaborazione con Walbourne. Da grande interprete qual è, Chrissie continua a fare della propria voce uno strumento di scrittura, cosa di cui è ben conscio un musicista del livello di Jonny Greenwood, chiamato a firmare gli elegiaci archi della conclusiva I Think About You Daily: «L’arrangiamento si è scritto da solo, per merito della sua voce. È ancora una delle più grandi cantanti pop».