Prete, abbecedario letterario-artistico dei sentimenti
Sebastiano Ricci, Medoro e Angelica, 1716 ca., Sibiu, Museo Nazionale Brukenthal
Alias Domenica

Prete, abbecedario letterario-artistico dei sentimenti

Saggistica letteraria Apparizione, turbamento, fascinazione, infedeltà, gelosia, bacio... Antonio Prete esplora le «figure» del discorso amoroso da Platone a Luzi, da Tiziano a Canova: Carte d’amore, per Bollati Boringhieri
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 10 aprile 2022

Ho conosciuto Antonio Prete alla fine degli anni settanta, quando ancora risiedeva a Milano in una casa di Porta Romana. Suppongo che di lì a poco sarebbe uscito per Feltrinelli Il pensiero poetante (1980, di recente ristampato da Mimesis), il libro sullo Zibaldone destinato a diventare un classico nell’ambito degli studi leopardiani, insieme ai saggi di poetica raccolti in Il demone dell’analogia del 1986.

Era, quello, anche il tempo di una rivista di gran pregio come «Il piccolo Hans», dove letteratura, psicoanalisi e scienze umane procedevano per sorprendenti intrecci e alla cui redazione fattivamente contribuivano, tra gli altri, Giuliano Gramigna, Ermanno Krumm, Mario Spinella e Italo Viola.

Fu una stagione, forse l’ultima, di formidabili azzardi, di avventurose sperimentazioni, di splendida confusione degli stili e anche di spettacolari errori e fallimenti e abbagli, ma niente a che vedere avevano con la restaurazione letteraria (e politica) che si sarebbe avviata di lì a poco, quasi che un richiamo all’ordine fosse caduto dal cielo a voler segnalare la nobile debolezza degli uni e la cinica astuzia degli altri, i successori, gli eredi. Se ricordo l’epoca così lontana e perduta è solo per dire che Prete si nutrì di quel clima, di quei materiali, di quelle comunità e, prima ancora, del decennio precedente, del Sessantotto specialmente. Questo saggista, questo francesista espertissimo (ha tradotto, del suo Baudelaire e da par suo, I fiori del male, oltre ad avere assai e a più riprese riflettuto e teorizzato sulla traduzione), questo comparatista assetato di conoscenza e di curiosità, questo prosatore e poeta non ha dimenticato nulla di ciò che allora ha appreso per poi offrirlo, con generosa larghezza e precisione e acribia, agli altri, agli amici, ai lettori e con un entusiasmo mai tetro e semmai colorato e felice.

Da anni, insieme ai saggi dedicati ai poeti che lo hanno da sempre accompagnato e sostenuto – appunto Leopardi, Baudelaire, l’amico Edmond Jabès – Prete non smette di indagare sui sentimenti, a penetrarne il senso, la natura, le più sottili modificazioni. Lo fa servendosi della grande tradizione letteraria, scrutandone i testi, perlustrandoli in lungo e in largo, e in proposito vanno ricordati titoli come Nostalgia (1992), Prosodia della natura (’93), Trattato della lontananza (2008), Compassione. Storia di un sentimento (’13) e Il cielo nascosto. Grammatica dell’interiorità (’16). Un simile percorso non poteva non approdare, adesso, in quello che lo stesso autore non può non definire «un paese che non ha confini» e che proprio per questa insita vastità «invita a un’interrogazione incessante», in primo luogo della lingua con la quale esso si esprime, quella dei poeti, degli scrittori, dei filosofi, dei pittori, degli artisti. Prete definisce il suo recentissimo Carte d’amore (Bollati Boringhieri «Nuova Cultura», pp. 365, euro 18,00) come un «abbecedario essenziale, seppur provvisorio». Ora, provvisorio è certo e ovviamente senza pretese di esaustività (nessuno meglio di lui sa poi che ogni discorso sull’amore non può che darsi per frammenti, per virate di respiro), tuttavia esso somiglia di più a un affresco oppure a un vasto mosaico i cui tasselli sono il frutto di una circumnavigazione il più possibile accurata e presentata al lettore per «figure», come le chiama Prete.

Così nella prima parte ecco «L’apparizione», «Il turbamento», la «Fascinazione», l’«infedeltà» e la «gelosia», la «tenerezza», la «Seduzione», «I confini del corpo», il «desiderio», le «Mitografie del bacio», l’«amore mistico»… La seconda parte, come un intermezzo, contiene una lettura del Simposio, memore l’autore di un seminario tenuto anni fa all’Università di Siena, mentre la terza e ultima sezione è dedicata al «paesaggio dell’amore», vale a dire il «giardino», il rumore del mare, il fiume, la strada. Due, in particolare, le incursioni nell’arte che vanno segnalate: la prima riguarda Amor sacro e amor profano di Tiziano, con la rievocazione commossa e struggente di una visita alla Galleria Borghese in compagnia di Mario Luzi, dove il silenzio ammirato e commosso conta qui più delle parole; la seconda attiene ad Amore e Psiche di Antonio Canova (ma poi, nella figura del bacio, tanti sono i quadri presi in esame).

Impossibile ricordare tutti i nomi degli autori convocati e setacciati con scrupolo e venerazione e orecchio assoluto – il termine più usato, non a caso qui, fa parte del vocabolario si direbbe esistenziale di Prete ovvero «prossimità» – ma scorrono, in questo libro dell’accoglienza e dell’ascolto, Shakespeare e Goethe, Flaubert e Foscolo, Laclos e Tolstoj, Tasso e Mann, Dante e gli stilnovisti, il Cantico dei cantici e Giovanni della Croce, Proust e Musil, Petrarca e Tasso, Ovidio e Tozzi, Rostand e Keats, Kleist e Char, Mallarmé e Zweig, Donne, Philip Roth e Scott Fitzgerald…

Carte d’amore, veniamo a sapere da una nota finale, si è costruito nel tempo e proprio a partire dal 1980, con un saggio apparso sul «Piccolo Hans». Ricorda Prete: «Quando, molti anni fa, lavoravo intorno al capitolo del Pensiero poetante dedicato al “desiderio illimitato”, mi sorprendevo via via nel vedere come le considerazioni leopardiane, staccandosi dal fondo sensistico settecentesco – attestato sui rapporti tra sensazione e bisogno – dislocassero il desiderio nello stesso campo di domande che, dopo Freud, avrebbero attraversato il Novecento».

Ecco allora, dopo Freud, Lacan, Deleuze e Guattari e il nostro Elvio Fachinelli. Si vuol significare che il cerchio si chiude e che dentro questo cerchio si svolge tutto il lavoro interpretativo di Prete, qui e altrove, prima e dopo. Gli strumenti con cui è lavorato il libro sono affilati mediante una serie di raffinate griglie interpretative.

Ma c’è inoltre qualcosa, come si affermava, di più personale, di più esistenziale e, dunque, di più profondo. Scrive infatti Prete, laddove si occupa della contiguità tra amicizia e amore: «La mia generazione, che ha fatto esperienza, nel Sessantotto e lungo gli anni settanta, di una liberazione del desiderio dai prestabiliti alvei delle istituzioni familiari e delle convenzioni, ha dato all’amicizia anche il compito di scuotere le rappresentazioni del maschile e del femminile dalla loro fissità e mancata separazione di ruoli e di funzioni, dalle loro storiche e istituzionali differenze.

Portare nell’amicizia tra uomo e donna il vento di un legame forte, fantasioso e sensibile, capace di scambio intellettuale e di tenerezza, voleva dire dislocare l’amore fuori dalla rigida e rituale coincidenza con la sessualità, e tuttavia non abolire il fascino della corporeità, né l’attrazione della bellezza e della grazia». È esattamente questa piegatura insieme intima e politica a dare al libro di Antonio Prete un tono che non si dimentica.

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