Presenza che somiglia a un’assenza
Cannes Il cinema inglese a Cannes dopo Brexit
Cannes Il cinema inglese a Cannes dopo Brexit
Quando l’anno scorso Ken Loach ha vinto la sua seconda Palme d’Or per Io, Daniel Blake, il ministro della cultura britannico ha taciuto. Nessun applauso. Nessuna espressione di orgoglio nazionale. Niente cena a Downing Street. Ed è chiaro perché. Il film ha preso di mira la politica del governo conservatore che punisce i poveri e ha fortemente criticato lo stato dei servizi sociali britannici. Fu ancora peggio nel 2006 quando Loach vinse la sua prima Palme per Il Vento che accarezza l’erba. Il regista venne attaccato dalla stampa di destra – i tabloid – per le sue presunte simpatie per l’IRA mentre stava semplicemente raccontando la guerra d’indipendenza d’Irlanda. Le vittorie di Loach e le seguenti reazioni mostrano un atteggiamento che ha segnato il rapporto fra il cinema britannico, la stampa e Cannes. Da una parte c’è rispetto e aspirazione. Dall’altra c’è un facile disprezzo, una Brexit culturale che guarda verso Hollywood e volta inevitabilmente le spalle al vecchio continente.
Se analizziamo i numeri notiamo che il Regno Unito ha un rapporto piuttosto positivo con la Croisette. I film britannici sono stati nominati meno spesso rispetto ad altri paesi, con ben 14 edizioni senza nemmeno un film in concorso, ma hanno vinto più frequentemente. Dalla prima edizione del festival del 1939, hanno gareggiato 159 film britannici, e hanno vinto ben 17 volte, l’ultima con Ken Loach. Ma cosa si intende per ‘film britannico’? Questi numeri provengono da come il programma ufficiale di Cannes identifica la provenienza dei film, quindi non necessariamente dal luogo di nascita del regista, ma dalle principali compagnie di produzione e dalla fonte dei finanziamenti. Così possiamo dire che con due film in gara, la Gran Bretagna è più presente dell’Italia o della Cina, entrambe completamente fuori dal concorso per la Palma. Tuttavia, quella inglese è una presenza che assomiglia di più a un’assenza. Nemmeno nel resto del festival c’è un gran numero di film provenienti da Oltremanica. Il più inglese è rappresentato dal debutto da regista dell’ottantenne Vanessa Redgrave – Sea Sorrow – di cui vedremo uno screening fuori concorso; una storia politica sulla crisi dei rifugiati con Emma Thompson e Ralph Fiennes. I due film inglesi in concorso sono tutti e due co-produzioni: You Were Never Really Here della regista scozzese Lynn Ramsay e The Killing of a Sacred Deer del greco Yorgos Lanthimos. Entrambi hanno un cast internazionale ed un’ambientazione americana. I soldi provengono – almeno in parte – dall’Inghilterra. Ma non sono sicuro che questo li renda film inglesi se non solo dal punto di vista tecnico. Carol fu un grande successo un paio di anni fa a Cannes. Ma pochi al di fuori dell’industria sanno che si tratta di un film inglese. Il regista è americano, gli attori americani, Cate Blanchett australiana ed è ambientato a New York. E sicuramente un film che ha poco di inglese nella tematica che tratta, a parte forse la repressione sessuale. Non come If… di Lindsay Anderson che vinse la Palme d’Or nel 1969 o Secrets and Lies di Mike Leigh, anche lui vincitore nel 1996.
Con la Brexit questo puzzle sta per auto-risolversi. La ragione per cui molti film americani vogliono fare una co-produzione con l’Inghilterra (i grandi studio hanno filiali a Londra) è proprio per fare in modo che i film vengano definiti europei qualificandosi così per le agevolazioni fiscali, ed entrando più facilmente in quei paesi che pongono un limite al numero di film extra-europei. Naturalmente, tutto ciò cambierà e come tutto quello che riguarda la Brexit, ci rimarrà in bocca un sapore amaro misto di ansia e rimpianto. C’è la possibilità che l’industria britannica imploda e che gli unici film a sopravvivere saranno quelli di 007 e Bridget Jones. Il problema è piuttosto grave perché il pubblico domestico favorisce di gran lunga i film americani. E i talenti, registi e grandi attori stanno già seguendo le orme di Charlie Chaplin e Alfred Hitchcock, abbandonando l’isola per il nuovo mondo dall’altra parte dell’Atlantico. Ma c’è anche la speranza che non sarà così. La creatività ha uno spirito che sa sferrare un calcio ai confini. Quando la Thatcher attaccò la cultura, tagliandone i fondi, involontariamente creò un ambiente di ribellione che ispirò il cinema di Terry Gilliam, Derek Jarman, Peter Greenaway, Roland Joffe e di tanti altri. Dal naufragio della Brexit potrebbe emergere un nuovo cinema britannico che remerà contro l’isolamento e si dirigerà verso l’Europa sbarcando a Cannes.
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