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Preraffelliti, moderni ma medioevali

Preraffelliti, moderni ma medioevaliFord Madox Brown, "Cattivo soggetto", 1863, Londra, Tate Britain

A Milano, Palazzo Reale, la pittura preraffaellita nella mostra "Amore e Desiderio" Dalla Tate Britain di Londra, una ricca selezione di dipinti della confraternita vittoriana, da Dante Gabriel Rossetti a Ford Madox Brown, che si ispirò polemicamente ai «primitivi» italiani

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 settembre 2019

Commentando una serie di sei piccoli quadri di Edward Burne-Jones, i Giorni della Creazione (Fogg Art Museum, Cambridge, Mass.), Henry James rintraccia nei volti degli angeli dipinti quei visi femminili dalla bocca accentuata, con la mascella squadrata, «che la scuola dei Preraffaelliti inglesi aveva importato venticinque anni prima dalla antica Firenze per servirsene ai propri scopi particolari. Da allora hanno subito molteplici variazioni e nella produzione del signor Burne-Jones li vediamo nella loro rappresentazione suprema». Pur riconoscendo «che qui appaiono assai stanchi delle loro avventure come se avessero bisogno di riposo e di refrigerio», lo scrittore americano nota che «rispondono ancora perfettamente bene a quello che ho chiamato lo scopo principale dei Preraffaelliti; esprimono ancora quel vago, morbido pathos, quel desiderio struggente di un oggetto indefinito, che tra questi artisti sembra una parte essenziale del concetto di bellezza umana».
Nel 1848, anno di grandi rivoluzioni in Europa, tre giovani studenti della Royal Academy, Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt e John Everett Millais, si riunirono a Londra per formare quello che sarebbe stato il movimento più influente, rivoluzionario e controverso dell’arte vittoriana, la confraternita dei Preraffaelliti. Si aggiungeranno più tardi Ford Madox Brown, William Morris e appunto Burne-Jones.
Sotto il segno di John Ruskin
Il nome fu espressamente scelto a sintetizzare una sconfinata ammirazione per la pittura italiana del periodo prima di Raffaello. Nessuno di loro era mai stato in Italia, ma tutti avevano letto gli scritti di John Ruskin, che avevano trasmesso loro l’attrazione e l’amore per la pittura degli artisti primitivi italiani, dei quali volevano emulare la semplicità e la purezza tanto decantate dal giovane critico inglese. Scelsero di definirsi ‘confraternita’ per sottolineare l’affiatamento di un ristretto gruppo di artisti che si dedicava totalmente alla ricerca della propria concezione di pittura; in questo, forse, si ispirarono ai Nazareni, il gruppo dei giovani artisti tedeschi vissuti a Roma intorno al 1810 seguendo uno stile di vita quasi monastico alla ricerca di un ringiovanimento dell’arte religiosa ispirato ai pittori del primo Rinascimento sia italiano che tedesco.
I Preraffaelliti, pur dipingendo soggetti differenti fra loro, avevano in comune lo stesso spirito di reazione contro il prevalente establishment artistico della pittura inglese di quegli anni che, in particolare, era rappresentato proprio dalla Royal Academy presso la cui sede però esposero numerose loro opere.
Idealismo e razionalismo morale
Come ebbe a scrivere Millais, il loro obiettivo principale era quello di dipingere in una maniera più nobile «such as turned the minds of men to good reflections», in una fusione di romanticismo, idealismo e razionalismo morale tipico dell’età v ittoriana. Sembra difficile comprendere un gruppo di giovani artisti e intellettuali la cui idea di modernità era il Medioevo, ma i Preraffaelliti erano esattamente questo: moderni e medioevali allo stesso tempo, e avvicinarsi al loro spirito significa comprendere meglio l’età vittoriana.
La mostra Preraffaelliti – Amore e Desiderio, aperta al Palazzo Reale di Milano fino al prossimo 6 ottobre, curata da Carol Jacobi, con un interessante contributo di Maria Teresa Benedetti che ne approfondisce il rapporto con l’Italia, consente di ammirare circa ottanta opere provenienti dalla Tate Britain, fra le quali alcuni indiscussi capolavori.
Il pezzo più celebre della mostra è senz’altro Ofelia di John Everett Millais. Mentre lo sfondo dell’opera, il fiume Ewell, nel Surrey, venne velocemente dipinto nel corso dell’estate 1851, Elizabeth – Lizzy – Siddal, modella prediletta e futura moglie di Dante Gabriel Rossetti, nell’inverno successivo fu costretta a rimanere a lungo immersa in una vasca da bagno, completamente vestita, per rappresentare al meglio la morte del personaggio shakespeariano. Millais acquistò per la sua modella un antico abito, di un pesantissimo tessuto broccato, e ci vollero quasi quattro mesi per ultimare le pose durante i quali la salute già precaria della Siddal peggiorò ulteriormente, ma l’effetto ottenuto fu quello straordinario che conosciamo e che ci obbliga quasi a seguire il corpo di Ofelia che si immerge nelle acque.
Lizzy Siddal è anche la protagonista del dipinto che le dedicò il marito pochi anni dopo la morte della giovane donna a soli 33 anni, Beata Beatrix. Si tratta di uno dei più famosi e visionari quadri di Rossetti, che segna una nuova direzione simbolista nella sua pittura, in cui viene rappresentata la morte di Beatrice così come descritta nella Vita Nova mentre sullo sfondo del quadro si intravede il Ponte Vecchio di Firenze immerso in uno squarcio di cielo d’oro evanescente.
La figura di Pietro, da nuda a vestita
Di tutt’altro genere è il Cristo che lava i piedi di Pietro, di Ford Madox Brown, anch’esso in mostra, il primo quadro religioso che il pittore realizzò nello stile preraffaellita. Il dipinto venne inizialmente eseguito nel 1851, ma poi più volte rielaborato fino al 1856, e, nel corso delle varie versioni, alla figura di Pietro, che originariamente era stata pensata per essere rappresentata senza vesti, Brown via via aggiunse gli abiti fino a raggiungere quella attuale che vede il santo corrucciato sotto gli sguardi increduli degli apostoli riuniti nell’Ultima Cena.
Arthur Hughes, pur non avendo fatto parte in senso stretto della confraternita, fu sempre vicino a essa e nel 1856 espose alla Royal Academy April Love, che viene considerato fra i capolavori della pittura preraffaellita. Nel dipinto la modella, circondata di edera, viene colta in un momento di indecisione, come turbata da un fremito che a Ruskin ricordava una goccia di rugiada sulle foglie che viene scossa dal vento. Hughes sembra voler cogliere il momento di incertezza di una giovane donna verso l’amore e la ritrae quindi esitante nel dubbio di voler tornare indietro sulle proprie scelte. Forse per questa ragione il dipinto, alla sua prima esibizione, era originariamente accompagnato da una citazione di Alfred Tennyson, tratta dagli ultimi versi di The Miller’s daughter: «Love is hurt with jar and fret / Love is made a vague regret / Eyes with idle tears are set / Idle habit links us yet / What is love? For we forget / Ah no, no».
Proprio questi versi, forse meglio di qualsiasi altro commento, possono spiegare il sottotitolo della mostra milanese, Amore e Desiderio, facendoci così avvicinare alla accezione preraffaellita dell’amore, di quel desiderio struggente di un oggetto indefinito che James aveva individuato quale scopo principale di questi artisti, apprezzandone, seppur in modo contrastato e incostante, la pittura.

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