Prendere le misure della normalità, mentre si rischia di andare in malora
Narrativa spagnola "Faber", Un Bildungsroman di Tristan Garcia, per NN editore
Narrativa spagnola "Faber", Un Bildungsroman di Tristan Garcia, per NN editore
Autore di diversi romanzi, tra cui La parte migliore degli uomini (Guanda 2011), Tristan Garcia viene da studi filosofici e non a caso iscrive il suo nuovo romanzo, Faber (traduzione di Sarah De Sanctis, NN editore, pp. 400, euro 19,00) nel segno di una tradizione importante, quella del Bildungsroman, capace di offrire, generalmente, una sintesi tra racconto e riflessione filosofica. Il viaggio che compie il protagonista di questo genere romanzesco è insieme di conoscenza e di iniziazione, non è concesso a tutti, bisogna esserne all’altezza: è quanto accade, per esempio, nel caso del Giovane Holden di Salinger, o di Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse, o di Oliver Twist di Dickens.
Protagonista del libro di Tristan Garcia, e del viaggio che vi si compie, è un uomo il cui mondo è il nostro mondo, quello della classe media e della civiltà occidentale, il migliore non tra i mondi possibili, ma tra quelli a nostra disposizione. Nell’universo esitenziale di Faber si tratta di dare un significato alla realtà più ordinaria, quella in cui le persone conducono vite discrete, lavorando in uffici, scuole, poste, ospedali, amministrazioni, persone il cui problema principale pare essere quello di evitare l’omologazione, o, almeno, di impegnarsi per evitarla.
Un rischio incombe, tuttavia, quello che l’eroe di turno finisca per perdersi in un dandismo asfittico, oppure divenga un disadattato che respinge qualsiasi forma di vita strutturata in nome di chissà quale protesta.
Madeleine, che di Faber è stata amante e amica, lo ritrova dopo anni e scopre in lui, per l’appunto, un eroe caduto, senza più forza per provvedere a sé stesso. Nulla del suo degrado fisico e psicologico rimanda alla intelligenza, al coraggio, alla vena anarchica che in passato aveva dimostrato, eppure, nel ritrovarlo, Madeleine, che è mossa dal desiderio di salvarlo dal suo sé oscuro, scopre come Faber abbia inverato uno dei suoi possibili destini, quello che lo portava all’auto-distruzione.
Proprio da qui, da questo passaggio che è anche una pietra miliare del cammino formativo di Faber, comincia il romanzo, perché significativamente Garcia, dopo avere dipinto nel suo protagonista il derelitto incapace di governare il proprio corpo così come la propria mente, ci porta all’indietro nel tempo per raccontarci chi fosse quest’uomo, adottato da una famiglia borghese, e entrato con i crismi del predestinato in un mondo al quale non apparteneva, ma nel quale si muoveva con la più assoluta naturalezza.
Sin da bambino, a scuola, Faber cominciò a sistemare il mondo che trovava intorno a sé con la presunzione di restituirlo ai suoi occhi senza infingimenti né fraintendimenti. Erano gli anni in cui difendeva fieramente gli amici, sino ad annientare in maniera silenziosa, ma implacabile, chi li minacciava: abilissimo nel battersi, oltremodo veloce nell’apprendere, era dotato di una curiosità vorace, e posseduto da una ansia di conoscenza inarrestabile. Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza avvenne attraverso un vero e proprio rito per iniziati che Faber compì con i suoi due amici, spettatori passivi della sua trasformazione.
Più tardi, il racconto dell’età adulta e del mondo che accoglie Faber e i suoi sodali, Madeleine e Basile, si presenterà come il mondo dell’ordine e della razionalità. Sia che si trovino a loro agio nelle vite borghesi che si sono cuciti addosso, come Madaleine e Basile, o che intendano mantenere vivo il tentativo di esserci in modo difforme, come accade a Faber, ciò che più profondamente occupa i personaggi di questo romanzo è prendere le misure dalla «normalità», qualunque cosa questa parola significhi. Ma la normalità è un traguardo che si conquistà, non una dimensione a nostra piena disposizione e, soprattutto, non tutti la possano abitare, reggendone il peso, dandole forma.
Del finale non diremo nulla se non che ha a che fare con il desiderio, provato a volte da ciascuno di noi, di impossessarsi delle vite degli altri perché ci affascinano o ci attraggono, senza tuttavia appartenerci. Sempre, quando tentiamo una simile impresa, veniamo meno al comandamento reso famoso da Nietzsche: «diventa ciò che sei». Ed è proprio questo il compito, e insieme il destino, che non possiamo permetterci di tradire, come mostra Tristan, il personaggio che entra in scena sul finale, essendo, insieme, l’ombra di Garcia e quella di Faber.
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