Ogni anno, il festival Premiers plans di Angers accoglie primi film, corti e lunghi, da tutto il mondo. Non pochi cineasti ormai affermati hanno presentato qui la loro prima opera. Se potessero, tornerebbero. Nessun festival francese può vantare sale tanto piene e un pubblico altrettanto entusiasta, che si riversa ad ogni tipo di spettacolo: la competizione, le retrospettive, le letture di sceneggiatura, gli incontri e gli atelier con cineasti e tecnici. Il festival è disegnato come un guanto per il pubblico giovane e in particolare per gli studenti di cinema delle superiori o dell’università. La stragrande maggioranza degli spettatori hanno meno di vent’anni. Al liceo, studiano tanto la cultura cinematografica che la pratica. Qui affinano l’una e l’altra.
Per il mio gruppo, due classi di venti studenti di cinema e audiovisivo del liceo Bellevue du Mans, uno degli incontri più interessanti è stato l’atelier d’animazione con la regista Florence Miailhe, autrice del bel film La Traversée. Hanno apprezzato le retrospettive e le letture. Meno il concorso, tranne il film iraniano Chevalier noir che ha vinto il primo premio. Aspettando il treno, abbiamo intavolato una lunga discussione, di cui riportiamo uno scambio che dalla questione generale del cinema d’autore si è spostato sul tema dello sguardo maschile/femminile.

Perché la competizione vi è parsa fiacca?
Camille: Quasi tutti i film mettono in scena il medesimo conflitto adolescenziale. Aftersun è il ricordo di una ragazzina divenuta donna dell’ultima estate con il padre che subito dopo la vacanza si è suicidato. In Tengo sueños electricos c’è una ragazzina che si confronta col padre violento. La lista potrebbe continuare. Al di là dei temi comuni, si somigliano perché sono tutti film personali, dei ricordi appunto.

La maggior parte dei primi film sono autobiografici.
Caroline: Certo, ma ci dovrebbe essere una mediazione artistica. Anche nel film di animazione La Traversée, per esempio, c’è un ricordo – come la madre della regista è fuggita attraverso la Francia occupata. Ma è solo un punto di partenza, trasformato e mediato da mille altre cose. È un progetto che nella fase di scrittura ha saputo accogliere altri ricordi, altre idee, e molta immaginazione. Del resto, la fabbricazione ha richiesto dieci anni. Però è un eccezione. In troppi film la fedeltà alla storia personale vince su tutto, col risultato di condannarsi alla banalità.
Lisa:L’anno passato, il primo film che abbiamo visto era un documentario: Soy Libre. Anche in quel caso si trattava di una storia personale: una regista, Laura Portier, racconta il percorso del fratello che cerca le proprie origini, emigra, partecipa a delle manifestazioni, finisce in una comunità agricola. Però Soy Libre non aveva una forma convenzionale. E si percepiva che la cineasta aveva preso dei rischi. A un certo punto il film le sfugge di mano, e lei in un lo lascia andare. Mi sarebbe piaciuto vedere più film come quello.
Caroline: Al di là di alcune differenze di contesto, molti dei film d’autore visti quest’anno hanno una matrice comune. Sono tutti basati su un realismo sociale piuttosto affaticato. E la forma è sempre più o meno identica.

A molti di voi non è dispiaciuta la commedia «Fifi». Mentre alcuni studenti, durante l’incontro con il regista, si sono alzati e se ne sono andati perché, a loro dire, il film è misogino.
Caroline: Fifi è un piccolo film, divertente, senza pretese. Il personaggio maschile è un introverso perennemente indeciso. Sono le donne, Fifi, la sorella, la madre, a mandare avanti la baracca. Non ci vedo nulla di misogino. Penso che quei compagni sbagliano analisi su questo film; ma non sul problema in genere, che invece per me è centrale. Si parla molto di film politici, di impegno sociale, ecc. Per me un film è politico se la regia è innovatrice, vale a dire non misogina.
Se capisco bene, la premessa del ragionamento è che tutto quello che si è fatto finora nel cinema è misogino.
Caroline: È così. E quindi innovare vuol dire fare un film non misogino. Non mi sembra di chiedere troppo. Il problema è che solo le donne possono farlo.

E lo fanno? C’erano diversi film di registe quest’anno. E una retrospettiva di Mia Hansen Love.
Caroline: Il punto non è che tutti i film fatti da donne sono capolavori. Ma che, anche se il film è mediocre, non è quasi mai problematico dal punto di vista della rappresentazione delle donne. Mentre gli uomini filmano sempre male le donne.

In che senso, «male»?
Caroline: È un problema di regia. Lo sguardo maschile è sempre lì a sessualizzare il corpo femminile.
Camille: Quante volte abbiamo visto il solito travelling laterale sulle gambe che sforbiciano su tacchi a spillo, lei che passa davanti a un negozio di vestiti, si ferma. Inquadratura sulla scollatura:chi è che guarda ?

Nella retrospettiva c’era «Vertigo» di Hitchcock. Che ne fate di un film come quello, basato sullo sguardo maschile, ma in cui quello sguardo è esposto?
Caroline: C’è indubbiamente una riflessione in Hitchcock. Ma è ambigua. Gli uomini non si sono mai confrontati con il problema del proprio sguardo. In ogni caso questo è cinema del passato. Non ho voglia di pensare ai problemi dei maschi, voglio un cinema diverso. Dei film fatti dai maschi non se ne può più. Non riesco ad entrarci, perché ogni volta lo sguardo maschile mi assale e mi impedisce di accedere al film. E non ho più voglia di chiedermi: misoginia a parte, è un buon film? Mentre il rapporto che posso avere con un film fatto da una donna è più puro, posso giudicarlo più liberamente, e dire: questo è un buon film, questo è un film mediocre.