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Pratiche di pensiero mappe e antidoti per invertire il presente

Pratiche di pensiero  mappe e antidoti per invertire il presente

SCAFFALE «Paura e meraviglia: storie filosofiche del XVIII secolo», un volume di Alfonso Maurizio Iacono per Edizioni Ets

Pubblicato circa un mese faEdizione del 13 settembre 2024

Negli ultimi tempi sono stati pubblicati alcuni volumi contro l’insegnamento dei saperi in una chiave storica, a favore di una presentazione concettuale degli argomenti. È evidente che si tratta di un’alternativa fuorviante. Come può infatti uno storico non porsi il problema dei contenuti concettuali degli eventi studiati? E come può colui che presenta concetti e argomenti non porsi il problema della «cornice» entro i quali essi vivono? Prendiamo come esempio l’idolo dei nostri tempi, l’innovazione. Non ha senso discuterne in astratto, indipendentemente dal fatto che essa riguardi contesti liberal-democratici o autoritari. Ma non ha senso nemmeno reperirne le cesure storiche, senza riguardo alle conseguenze sociali, politiche, economiche implicate dalle diverse forme di innovazione. Questa dicotomia ricalca infatti la modalità di polarizzazione che domina il nostro discorso pubblico, tra social media e salotti televisivi, e ci rende difficile comprendere la complessità dei fenomeni sociali.

È ALLORA NECESSARIO notare che l’attuale crisi della prospettiva storica dipende dal dominio dell’«eterno presente», in cui tutto è appiattito sull’immagine ideologica di un’individualità narcisista che vive nel «qui e ora». Eppure proprio attraverso il recupero di uno sguardo storico-filosofico – che non si limiti a presentarsi come sapere antiquario – è possibile, nell’epoca della globalizzazione digitale, la costruzione di una prospettiva capace di leggere ad ampio raggio i presupposti dell’ideologia contemporanea: far rivivere il pensiero del passato significa infatti presentare uno spazio altro e ulteriore che mostra la tirannide del presente come il prodotto di una decisione del potere politico ed economico.
Sono questi i presupposti metodologici che consentono di inquadrare i contenuti del volume Paura e meraviglia: storie filosofiche del XVIII secolo di Alfonso Maurizio Iacono (Edizioni Ets, pp. 118, euro 13), il quale si snoda in capitoli che affrontano numerosi autori (tra cui Fontenelle, Gibbon, Adam Smith, Kant) e diversi temi della modernità (in particolare le congetture sulla storia delle civiltà, il ruolo sociale e politico delle credenze, l’origine della religione, il feticismo, le teorie del progresso).

Questi temi sono attualmente centrali non solo per la loro rilevanza nella conoscenza del passato, ma anche come strumenti di comprensione critica capaci di illuminare i presupposti del presente. Generalmente crediamo infatti, oggi, di vivere in una condizione individuale e sociale di libertà e indipendenza, mentre non ci rendiamo conto che alcuni fenomeni di servitù volontaria presenti nelle nostre modalità di adesione conformistica alle credenze sociali e agli interessi del sistema capitalistico digitale e finanziario non hanno radici antropologiche diverse da quelle già evidenziate da Hume nel Trattato sulla natura umana (1739) e nella Storia naturale della religione (1755).

GLI ESSERI UMANI – ieri come oggi – tendono a inventare dèi a loro immagine e somiglianza, attribuendogli poteri sovrumani e qualità straordinarie che essi non hanno, ma che costituiscono le proiezioni dei nostri desideri individuali di onnipotenza. La dinamica della credulità e della servitù volontaria non appartiene solo ai popoli del passato ma a tutte le realtà sociali, che non sfuggono così alle trappole del fanatismo e della superstizione, dell’ideologia e del dominio. Il contributo di riflessione storica offerto da Iacono dispiega la sua forza sul contemporaneo anche quando mostra che due in particolare sono i fenomeni – la paura e la meraviglia – che indicano come il presente non sia un «dato naturale», bensì il prodotto di un processo rispetto al quale dobbiamo costruire una distanza critica, uno sguardo straniante che metta in crisi la nostra propensione a rifugiarsi in credenze ritenute «certe». Paura e meraviglia segnano infatti il confine tra l’ordine regolare e naturale in cui siamo immersi e i fenomeni «irregolari» che ci costringono a porci domande sul nostro mondo. Porre queste domande significa creare una distanza rispetto al dominio ideologico del presente, cui corrisponde – per fortuna – uno spazio in cui può maturare la coscienza civile.

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