Il caos attorno alla compagnia aerea Ita è inversamente proporzionale alla sua grandezza. Sulle ceneri di Alitalia è stato deciso di far nascere una micro compagnia col diktat della commissione Europea di privatizzarla il prima possibile.

Un’impresa che pareva semplice, architettata scientemente per dimostrare «discontinuità» col presunto «carrozzone pubblico che ha fatto buttare decine di miliardi dei contribuenti italiani», come vuole la vulgata liberista che va (sempre) per la maggiore.

MENTRE I LAVORATORI LASCIATI sulla pista nell’intricato processo (con annesso spezzatino) superano ancora quota 5 mila – in pratica la metà dei circa 10.500 addetti Alitalia dell’ultimo periodo – i tre governi che si sono succeduti in questi due anni hanno mandato nei matti perfino gli austeri burocrati della concorrenza di Bruxelles.

Nemmeno il governo Draghi è riuscito a mettere ordine. Anzi. Prima ha chiamato a guidare la neonata Ita il manager più inadatto possibile: quel Alfredo Altavilla totalmente sprovvisto di esperienza di aerei e totalmente provvisto di boria e stile da padrone delle ferriere. L’applicazione a una azienda totalmente pubblica del «metodo Fca» – via dal contratto nazionale, riduzione dei diritti e dei salari, condanne nei tribunali per discriminazioni – è stato il prodromo di un flop industriale e finanziario che anche i recenti conti dimostrano: senza altri 400 milioni la microcompagnia rischia già il default.

Con un colpo di scena inaspettato però, quando già stava facendo gli scatoloni salutando palazzo Chigi e il Mef, il trio Draghi-Franco-Rivera ha deciso per il fondo Certares (spalleggiato da Delta e AirFrance) invece dei favoriti Msc-Lufthansa. In nome di un’offerta economica più alta – 350 milioni per il 50,01% più altri 650 per successiva ricapitalizzazione – e di una governance più condivisa, Draghi aveva «sorpreso» perfino il suo ministro allo Sviluppo Giancarlo Giorgetti.

IL QUALE, DIVENTATO PER OSCURE ragioni ministro dell’Economia del governo Meloni, per primo blitz ha deciso di azzerare la decisione e di riaprire a tutti la trattativa, in primis alla strana alleanza tra il leader di crociere e cargo marittimo e il gigante germanico dei cieli. Evidentemente puntando su un rilancio economico di entrambi i contendenti.
Più di un commentatore malizioso considera la mossa di Giorgetti propedeutica al benservito deciso verso il potentissimo direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera che invece fino a qualche giorno fa sembrava difeso dal ministro leghista.

Di certo c’è solo che nel governo le posizioni sulla privatizzazione di Ita sono assai diverse. «Serve una compagnia aerea italiana che abbia un piano industriale, che non sia venduta soltanto per un interesse economico», ha dichiarato ad esempio Antonio Tajani, vicepresidente e ministro degli Esteri che in teoria dovrebbe essere a favore di Msc.

ANCHE MOLTI ESPONENTI di Fratelli d’Italia – in primis Fabio Rampelli che ha seguito il dossier per Meloni – è della stessa opinione. Mentre anche ieri Lufthansa ha ribadito di «essere interessata a una vera privatizzazione».

Certares aveva perfino incontrato i sindacati e continua – parola sua – a preparare «un offerta vincolante». Ieri però si è registrata la retromarcia pesante di AirFrance che sembra già dare per perso l’affare: «Stimo riesaminando le opzioni riguardo al mercato italiano».

Cosa succederà ora? Impossibile prevederlo. Una ventina di tribunali lungo la penisola stanno esaminando ricorsi di lavoratori che chiedono giustamente di essere reintegrati, del disperato Altavilla defenestrato, di legali di Ita per turbativa d’asta contro dirigenti (vicini ad Altavilla) che tifavano Msc-Lufthansa.

DI SICURO IL PROCESSO di privatizzazione si sta avvitando pericolosamente e presto arriverà l’ennesima campanella di Bruxelles a intimare una soluzione veloce. Il primo a non sapere quale è proprio il ministro Giorgetti: l’autore del primo blitz del governo Meloni.