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Possagno, i restauri del sacrario neoclassico votato al mito di Canova

Possagno, i restauri del sacrario neoclassico votato al mito di CanovaPossagno, «Gypsotheca canoviana», Ala Scarpa, Washington e Autoritratto

La Gypsotheca Nel segno della luce, da Francesco Lazzari a Carlo Scarpa, a oggi

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 26 novembre 2023

I lavori di restauro della Gypsotheca canoviana di Possagno, da poco incominciati, che porteranno alla messa in sicurezza della seconda e terza campata, sono l’occasione per ritornare in uno dei musei più suggestivi d’Italia. L’edificio venne progettato dall’architetto veneziano Francesco Lazzari nel 1836 alla maniera di un’antica basilica, con quell’effetto, così penetrante, di sacrario neoclassico che oggi si può affermare essere ancora intatto. Dai tre alti lucernari, uno per ciascuna sezione dell’ambiente, sopra la grande volta a botte, la luce fiocca. Fiocca attenuata dai pallidi vetri come soffice lume boreale. Fiocca leggera sulla tiepida carnagione del gesso, così diversa da quella del marmo, materia meno opaca e più dura e che non trattiene perciò alla stessa maniera le impurità, le scalfitture, le ombre, tutti quei segni che finiscono con l’accentuare la casta sensualità d’una scultura per la quale critici come Mario Praz parlarono di un erotismo contemplativo e adolescente.

Anche nell’ampliamento della struttura, ultimata da Carlo Scarpa nel 1957, parla la luce. Ma in maniera diversa. Lì morbida, liquida e diffusa, qui, invece, spezzata, mossa, tagliata e rifranta, si presta a una grammatica più ricca e diversificata. Ogni statua ha perciò il proprio carme, la propria armonia, la propria metrica di luce; metrica che ora è quella delle Grazie, le quali, ogniqualvolta i raggi del sole si specchiano sulla vasca d’acqua, danzano nel riflesso; e ora, invece, è quella di Napoleone o di Washington, sui cui la luce cade, diversamente, in rigide lame che sembrano quasi restituirli alla loro dimensione di eroi prescelti non dalla Grazia, come San Paolo, ma dalla Storia. In questa ala del museo sono, inoltre, conservati i bozzetti in terracotta, che piacevano a Cesare Brandi più ancora delle opere finite perché vi trovava tutto il fuoco dell’idea prima.

Anche gli appartamenti privati, dove proprio recentemente è stato presentato il progetto di restauro degli abiti del grande scultore, serbano molte sorprese. E, non potendo parlare di tutto, dirò soltanto delle tempere (trentaquattro, alle quali vanno aggiunte le due che si trovano al Museo Civico di Asolo), realizzate da Canova sulla base di suggestioni pompeiane, con lo spirito giocondo delle nugae («pensieri di danze e scherzi di Ninfe con amori, di Muse, e Filosofi, ecc. disegnati per solo studio e diletto dell’artista» le disse l’autore stesso nel Catalogo delle proprie opere): bagatelle, sì, ma incantevoli. Canova nel registro delicato non ha infatti la stucchevolezza di David, che nel suo Amore e Psiche dipinse sul volto di Cupido una soddisfazione forse più consona alla petite maison di un libertino che all’alcova di un dio; anzi è, al contrario, autenticamente anacreontico tanto nei trastulli degli amorini quanto nelle numerose scene di ballo; e ciò sebbene il risultato più alto in questo genere di soggetto Canova lo abbia ottenuto in un altro lavoro, in gesso questa volta, ospitato anch’esso nel museo: il bassorilievo della Danza dei figli di Alcinoo.

Il complesso di Possagno raccoglie insomma tante espressioni dell’arte di Antonio Canova (compresa una pittura della Maddalena così in linea col primitivismo neoclassico di certi romantici nordici che la diresti opera di un Füssli rilassato o di un Flaxman disteso) da lasciare sempre sorpresi: sia chi non vi sia mai stato, sia chi, volendo profittare del rinnovamento della struttura per mettersi in viaggio, desideri ritornarvi.

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