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Posidonio, l’uomo-enciclopedia del tardo ellenismo

Posidonio, l’uomo-enciclopedia del tardo ellenismoBusto in marmo di Posidonio di Apamea, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, foto DeAgostini/Getty Images.

Classici perduti Dotto intellettuale , nacque in Siria (Apamea) e visse a Rodi. Della sua opera monumentale sopravvivono solo frammenti, trasmessi da altri

Pubblicato circa un anno faEdizione del 27 agosto 2023

Lo studente che indaga la geografia antica, incerto sulle teorie delle maree o le misure della terra, se domanda, per ingannare la noia della lunga ricerca in biblioteca, sotto la luce livida del neon, nell’ora in cui gli studiosi sono piegati dalla fatica e l’assistente di sala raccoglie le sue carte per non lasciarsi vincere dal sonno: «Da quale fonte viene questa notizia?» sente rispondersi: «Da Posidonio». E quando rilegge un’epistola di Seneca, ricca di dottrina, aneddoti e idee filosofiche imbricate insieme: «E qui?» «Da Posidonio». E mentre ripensa a drammatiche rivolte in Sicilia, con schiavi proclamati ‘re’ e migliaia di disperati in lotta, e chiede da dove venga tutto ciò, la risposta è: «Da Posidonio». E se studia l’etnografia dei Celti, le descrizioni dei loro usi, mentre la fatica gli pesa sugli occhi, e lo scuote all’improvviso la protesta di un lettore che attende un libro, e l’addetto seduto al bancone leva il capo sonnacchioso, se domanda la fonte di quelle notizie, torna la risposta: «Da Posidonio». E ancora se legge di fisica o astronomia, di etica o matematica, di storia e d’altro ancora: tutta roba di Posidonio. Pare venire dai libri suoi perfino il sole che tramonta, e che lui stia disteso tutto grande per quanto sia grande la biblioteca dei classici antichi, e che per ogni argomento studiato gli si cammini sulla pancia.
Pare. Perché, in realtà, della monumentale opera di questo intellettuale nato in Siria, ad Apamea, e vissuto a Rodi, dove tenne scuola e fu in contatto con grandi uomini di Roma, sopravvivono solo frammenti, più o meno fedelmente trasmessi. Davvero poco, rispetto alla traccia forte che quei libri lasciarono sulla cultura greco-romana: se ne trovano riprese in Cicerone, Diodoro, Strabone, Seneca, Plutarco e altri autori. La raccolta delle reliquie di Posidonio risulta, in più, difficoltosa: oltre alle esplicite citazioni, vi sono molte pagine, di tema filosofico, geografico o storico, nelle quali la sua traccia viene credibilmente riconosciuta, ma per indizi. Ciò significa andare oltre l’idea di passi che conservino le precise parole dell’autore perduto: è necessario affrontare anche testi che si rifanno a una pagina perduta, ma senza riprodurla fedelmente (e senza citarla). Si spiega così che esistano due importanti edizioni dei frammenti di Posidonio, quasi coeve, a cura di Ludwig Edelstein e Ian Gray Kidd (1972-1999), e a cura di Willy Theiler (1982). Assai diverse nell’impianto (nell’accogliere o meno pagine ispirate a Posidonio), sono a base di quella curata da Emmanuele Vimercati (Posidonio, Testimonianze e frammenti, Bompiani, 2004, circa 800 pagine), con testi in originale, traduzione (talora poco precisa) e commento. Raccolta preziosa, che fa vedere unitariamente la poliedrica attività di un autore dottissimo.
Posidonio incarnò la forma enciclopedica raggiunta dalla cultura nel tardo ellenismo: con la parziale eccezione di Varrone, che Petrarca chiamò «il terzo gran lume romano» e la cui opera grandissima è pure sopravvissuta solo in minima parte, non si saprebbe indicare un nome romano dagli interessi altrettanto vasti e vari. Non è un caso, che a scrivere su Posidonio per la Treccani, nel 1935, si mettessero in tre: il grecista Coppola, il filosofo Calogero, il geografo Almagià. Tanti infatti i motivi per ricorrere a questo troppo poco noto intellettuale. In Posidonio, gli studiosi di filosofia possono trovare il senso del pensiero dello stoicismo medio, che giunge fino a Cicerone soprattutto per la riflessione sui temi etici. Per Posidonio, per esempio, la tecnica derivava dall’azione dei sapienti: a questa idea si oppone Seneca, in una delle Lettere a Lucilio, ritenendo il progresso tecnico origine di bisogni artificiosi che hanno distolto l’umanità dalla vita secondo natura. Per gli storici della scienza, poi, le pagine di Posidonio testimoniano conoscenze matematiche non banali, e una fase viva della cultura scientifica greca (seppur declinante dopo la crisi di Alessandria). Erudito costruttore di un mappamondo, impegnato a ragionare di lune e di stelle, e a dimostrare le dimensioni del sole (in modo diverso da Tolomeo), e viaggiatore, egli descrisse molti aspetti dell’ecumene, e fenomeni naturali come le maree atlantiche: chi non sia saziato dall’indagine su Artemidoro, nota quanto Posidonio sia presente in Strabone.
Tuttavia, le pagine sue che oggi soprattutto sollecitano interesse concernono la storia e l’etnografia. Secondo Piero Treves, Posidonio sarebbe «il primo storico non europeo dell’Europa», non fossero nati in Anatolia Erodoto ed Eforo: ma quelli erano di orizzonte egeo, mentre lo sguardo del poligrafo di Apamea superava i confini di una piccola patria locale, e sapeva comprendere efficacemente il Mediterraneo del primo secolo a.C.: un mondo politicamente romano, culturalmente greco, ma caratterizzato da presenze puniche, celtiche, partiche, e romane. L’eco delle indagini sue sopra paesaggi e culture, si trova anche nel giovanissimo e dottissimo Leopardi: «Posidonio narra presso Strabone di aver udito dire che in Ispagna si sentiva in effetto questo strepito quando il sole piombava al fondo del mare… Così ciò che noi diremmo ora per giuoco di fanciulli fu creduto volgarmente, e tenuto per fermo dagli antichi».
Le descrizioni degli usi alimentari e sociali dei Celti sono tra sue pagine più godibili (si trovano anche in volume a sé: Posidonio, Frammenti etnografici, a cura di Miska Ruggeri, La vita felice 2016). Le conobbe forse Cesare alle prese con la Gallia: ma i passi superstiti parlano di bardi e monili in oro e pratiche del banchetto. E pure di fisici guerrieri: Posidonio accettava le teorie antiche che ritenevano l’aspetto degli abitanti determinato dalla natura dei luoghi. Ma non si limitava alle curiosità etnografiche: comprese anche le grandi sfide culturali e geopolitiche poste dalla fine dell’equilibrio ellenistico delle potenze. Al re Mitridate, che si era contrapposto all’affermazione di Roma, rivolse un’attenzione non equanime, ma significativa. L’esser nato in Siria lo rese forse attento all’Oriente, anche se di quanto scrisse sui Parti restano quasi solo dettagli, e a riguardo dei Giudei talune notazioni fobiche, simili a quelle presenti in una famigerata pagina di Tacito. Ma, dato che parlava di tanti popoli, quali lingue Posidonio conosceva? La sua biblioteca aveva, oltre al settore greco, uno scaffale semitico (o iranico)? E uno latino? Conobbe Roma come ambasciatore di Rodi, ma non parlò dei romani con gli strumenti dell’etnografo: li ritenne ellenizzati, ma non parve ammettere una cultura latina originale. Notevole invece il suo giudizio politico sull’imperialismo romano, pietra di paragone di tutti gli intellettuali greci del tempo. Posidonio, che aveva amici importanti (a Rodi fu omaggiato da Pompeo) valutava positivamente il dominio romano della Sicilia, anche se capì che esattori e cavalieri ne avevano avidamente sfruttato delle risorse, con penose conseguenze. Il suo drammatico racconto sulle rivolte servili che devastarono l’isola fu ripreso in Diodoro e Fozio (Diodoro, La rivolta degli schiavi in Sicilia, a cura di Luciano Canfora, Sellerio 2000). E, pur se attento ai derelitti, Posidonio era un conservatore. Lo vide Arnaldo Momigliano: «Avendo accettato i rapporti di forza e di stratificazione sociale del proprio tempo, non amava agitatori e rivoluzionari. Non ebbe una parola buona per i Gracchi né per i capi delle ribellioni di schiavi, né per gli incitatori alla rivolta contro Roma durante la guerra mitridatica». A questo evento si riferisce il ritratto fosco e grottesco che Posidonio traccia di Atene in mano a certi demagoghi, in rivolta contro Roma (poi Silla intervenne con un assedio duro e famigerato).
Un naufragio quasi totale ha travolto, già nella tarda antichità, i suoi tanti scritti. Ai moderni, per certo periodo, la sua opera parve compilativa o derivativa, perché lontana, come tanta filosofia ellenistico-romana, dalla mitizzata originalità cui tenevano i romantici. I (frammenti dei) suoi trattati non comunicano il fascino dei dialoghi platonici, né il rigore delle pagine aristoteliche, ma contengono notizie importanti e idee da meditare. Una pagina del medico imperiale Galeno, relativa alla terapia delle passioni, conserva una riflessione di Posidonio sul pensiero scientifico: «le conoscenze e i giudizi razionali e, in generale tutte le scienze e tecniche non paiono per il solo effetto del tempo degradarsi a abitudini, come le attitudini indotte dalle passioni, né mutare o venir meno, come il dolore e altre affezioni. Chi infatti potrebbe nel tempo rigettare per sazietà il concetto che due più due fa quattro, e cambiare idea? O il fatto che tutte le linee che partono dal centro di un cerchio sono sovrapponibili? E anche per ogni altro teorema non c’è alcuno che, preso da sazietà, dismetta la precedente opinione, come dismette pianto, sofferenza, lamento, gemito, dolore e cose del genere, anche quando rimangano uguali le valutazioni sull’accaduto». Leggere Posidonio, quindi, farebbe bene pure ai teorici odierni delle STEM.

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