Con Glencore è un braccio di ferro infinito. Trovare una soluzione alla crisi degli stabilimenti che il colosso svizzero delle materie prime gestisce in Sardegna a Portoscuso e a San Gavino è tutt’altro che semplice. Ieri al ministero delle imprese e del made in Italy (Mimit) al tavolo della sottosegretaria Fausta Bergamotto c’erano i vertici della multinazionale. Dalle 12 alle 17 cinque ore di confronto e un niente di fatto. Tutto aggiornato a stamattina. Nessun comunicato ufficiale né da parte del ministero né da parte di Glencore. Quello che filtra è che sui costi dell’energia (per l’azienda troppo alti) e sopratutto sulle reali intenzioni del gruppo a proposito degli annunciati progetti di riconversione degli impianti sardi dalla produzione di piombo e di zinco a quella di litio e di cobalto tutto è ancora aperto. E trovare un’intesa è difficile. In attesa di ciò che accadrà oggi, a Portovesme e a San Gavino la situazione è tesa.

IL VERTICE DI IERI è stato preceduto, venerdì della scorsa settimana, da un incontro di Bergamotto con i rappresentanti aziendali della Portovesme srl, lo stabilimento Glencore di Portoscuso. Il governo ha messo sul piatto un credito di imposta al 45% sino al 30 giugno e agevolazioni tariffarie legate alla gestione della rete di distribuzione dell’energia. Ma i manager della Portovesme srl hanno ripetuto che «le attuali condizioni generali del mercato e la volatilità del prezzo dell’energia non facilitano un completo riavvio degli impianti produttivi». E questo nonostante il colosso svizzero goda di ottima salute: a fine 2022 il margine operativo lordo è salito rispetto al 2021 del 60%, a 34,1 miliardi di dollari. L’utile si è attestato a 12,1 miliardi di dollari, quasi dieci volte quanto realizzato nello stesso periodo del 2021. La maggiore redditività è stata generata dal balzo del fatturato, che ha beneficiato di una crescita del 43% a 134 miliardi. Agli azionisti sono stati redistribuiti 7,1 miliardi.

Quotata alle borse di Londra ed i Johannesburg, Glencore ha sede a Baar, nel cantone Zugo, ed è presente in trentacinque paesi con 135.000 dipendenti. È una delle più grandi compagnie al mondo nel commercio di materie prime: zinco, piombo e rame, ma anche gas naturale, petrolio e carbone. Ed è soprattutto con i prezzi record raggiunti dal carbone, dal gas naturale e dal petrolio che si spiegano le ottime performance economiche del gruppo.

IN SARDEGNA IL GRUPPO ha presentato un anno fa alla Regione e alle parti sociali un progetto da 400 milioni di euro di riconversione degli impianti di Portoscuso e di San Gavino (dai quali oggi escono piombo, zinco, rame, oro e argento) per produrre litio e cobalto, materie prime per la realizzazione di batterie, un mercato in forte espansione. Glencore ha giustificato il blocco degli impianti e la cassa integrazione a turno per tutti i dipendenti con un calo di redditività legato all’aumento vertiginoso del costo dell’energia.

GLI OPERAI RISPONDONO che le dinamiche di crescita del prezzo dell’energia sono attualmente in deciso rallentamento e che comunque le agevolazioni tariffarie e fiscali concesse dal governo durante l’ultima fase della trattativa sono tali da rendere i costi energetici del tutto sostenibili. Ma il punto vero è un altro: secondo i sindacati è più che plausibile l’ipotesi che Glencore voglia usare la vertenza in corso per ridurre gli organici in funzione del progetto di riconversione degli impianti dal piombo e dallo zinco al litio e al cobalto. Una strategia che a esigenze del gruppo dettate da ragioni di mercato sacrificherebbe centinaia di posti di lavoro.