Portogallo, fine settimana da moribondo
Lisbona Insieme a quella economica esplode anche qui la crisi politica. Paese sull’orlo del voto anticipato. Cavalca il malcontento il populismo anti casta del movimento «Che si fotta la troika»
Lisbona Insieme a quella economica esplode anche qui la crisi politica. Paese sull’orlo del voto anticipato. Cavalca il malcontento il populismo anti casta del movimento «Che si fotta la troika»
La giornata di venerdì 5 aprile sarà ricordata come la caporetto del governo di «centro»-destra portoghese: alle 21, ora locale, il tribunale costituzionale (Tc) rende pubblica la sua sentenza sulla legge finanziaria: dei circa sei miliardi di bilancio, più di uno resta fuori a causa dell’incongruenza delle norme con la legge fondamentale.
La decisione, un segreto di pulcinella che tutti negavano di conoscere ma di cui erano stati tutti informati, ha trasformato il fine settimana lisboeta in un’autentica pièce di teatro.
Nessuno sapeva niente ma casualmente per il sabato 6, cioè all’indomani della sentenza, era già stata convocata una riunione straordinaria del consiglio dei ministri, una farsa tanto per ribadire che il governo non aveva nessuna intenzione di dimettersi. Coincidenza ancora più sospetta, il presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva non aveva impegni istituzionali e ha potuto quindi incontrare il primo ministro e riconfermargli la sua fiducia gelando così le aspettative di chi auspicava lo scioglimento dell’Assembleia da Republica e, dunque, la convocazione di elezioni anticipate.
Sia come sia, la crisi politica è arrivata anche qui, estremo occidente di un continente sempre più moribondo. Anche l’alunno modello, tanto importante per la Germania, ormai mostra sempre più evidenti i segni di una devastazione probabilmente irreversibile.
Domenica 7, dopo la seconda riunione straordinaria del consiglio dei ministri il primo ministro José Passos Coelho si è limitato ad annunciare che per coprire il buco di bilancio non avrebbe aumentato ulteriormente il carico fiscale. E visto che la matematica non è un’opinione, le sue parole possono essere tradotte in un solo modo: la copertura della nuova falla verrà trovata in pesanti tagli alla spesa. Perché c’è un punto in tutta questa storia che non va mai dimenticato: gli obiettivi di bilancio non sono discutibili. Al massimo, dicono gli ottimisti, si possono rinegoziare tempi e saggi di interesse, ma la sostanza no, quella mai.
Nuovo giro di vite in arrivo
I partiti dell’opposizione hanno certo gioito per la bocciatura di gran parte della legge finanziaria ma, purtroppo, la realtà è ben più drammatica e la vittoria in una battaglia non significa la vittoria della guerra, anzi, fino ad adesso ad ogni vittoria è seguito un inasprimento e un giro di vite nelle condizioni di vita delle persone. Come nel processo di Kafka, la macchina dell’austerità una volta avviata non può essere arrestata. Se il sussidio di ferie, la tredicesima, non potrà essere tagliato, allora vuol dire che si affronterà con più decisione la questione dei costi strutturali o, per usare un termine più burocratico, quello della Riforma dello Stato: licenziamenti in massa nel pubblico impiego e ridimensionamento del sistema nazionale di salute e del welfare state.
È probabile che i progetti per la ristrutturazione dello stato portoghese – nato dalla più epica delle rivoluzioni, quella dei garofani – siano già stati concordati da governo, opposizione socialista (?) e Troika ed è possibile anche che si stia drammatizzando il momento per poi obbligare ad accettare l’inaccettabile. Chissà?
Resta il fatto che Passos Coelho ora si trova nella difficile condizione di dovere racimolare quasi 6 miliardi di euro (quelli tagliati dal Tc più 4, 5 ancora da mettere a bilancio), di essere assediato per questo dal partito socialista, di essere sotto stretta osservazione del presidente della Repubblica e, infine, di dovere affrontare un mal contento ormai dilagante. Insomma: è l’uomo giusto per portare avanti fino in fondo il lavoro sporco, poi lo si mollerà, e si dirà che tutte le colpe sono le sue.
Paradossalmente, le sinistre del Bloco de Esquerda e del Partido Comunista, uniche vere antagoniste delle politiche di austerità, restano al palo non riuscendo a porsi come autentici punti di riferimento per una possibile alternativa.
La crisi sovverte gli equilibri
Uno degli ultimi sondaggi (divulgato il 15 marzo e realizzato da Cesop Università Cattolica) rivela che il 63% dei portoghesi, in caso di elezioni, non saprebbe per chi votare. La crisi economica sovverte ogni equilibrio e sul banco degli imputati potrebbe essere chiamato il sistema politico nel suo insieme. Quella che si schiude all’orizzonte è una perdita completa di legittimità della democrazia rappresentativa in sé e per sé e non più semplicemente quella dei partiti che nel corso degli anni si sono alternati al governo.
Così a gestire il malcontento è il movimento Que se lixe a troika (Qslt, «Che si fotta la troika») che lo scorso 2 marzo è stato in grado di mobilitare circa 1 milione e mezzo di persone, questo senza peraltro avere altro programma se non quello di rasgar, stracciare il memorandum, e di mandare o governo para rua, il governo in strada. La cosa dovrebbe preoccupare, perché il Qlst è un tipico movimento dai caratteri populisti nel quale alla “tradizionale” dicotomia destra/sinistra è preferita quella tra il cittadino comune che si oppone alle vessazioni della casta.
Potrà apparire cinico, ma occorre una certa dose di realismo se ci si vuole capire qualche cosa. Le opzioni endogene, cioè quelle a disposizione della “libera” scelta dei portoghesi, sono due, entrambe drammatiche: o il Portogallo resta nell’Euro, e rispetta il memorandum, o esce e allora fa quel che vuole, ma sapendo che un ritorno allo Scudo, se non ben pianificato, potrebbe avere conseguenze ben più drammatiche di quelle che stanno producendo le politiche di austerità.
Va detto che i portoghesi si stanno caricando sulle spalle responsabilità non loro, visto che il rapporto debito/pil era, prima della crisi, abbondantemente sotto il 100%. Sarebbe quindi il caso che in Europa qualcuno cominciasse a parlare e dicesse cosa si vuol davvero fare con la moneta unica. Questo almeno ci si aspetterebbe da quella che nel bene o nel male, più nel male a dire la verità, è la nostra classe dirigente. Dopo 5 anni di crisi di cui non si vede via di uscita forse è il caso di aprire un dibattito serio sul futuro dell’Euro.
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