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Porte aperte al supplente straniero

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Milano Il tribunale del lavoro accoglie il ricorso contro il divieto di insegnare per gli insegnanti di un altro Paese. «È discriminatorio», hanno sentenziato i giudici che con la decisione impongono una riscrittura della graduatorie. Bocciata anche la clausola di priorità per gli italiani nell’insegnamento delle lingue straniere

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 10 marzo 2015

Per il Tribunale del lavoro di Milano il bando 353 indetto nel 2014 dal ministero della Pubblica istruzione (Miur) per le supplenze nella graduatoria di terza fascia discrimina i docenti stranieri, comunitari e non, dai loro colleghi italiani. Ieri una sentenza ha imposto al ministero di riaprire il bando per permettere l’accesso anche ai lungosoggiornanti, ai titolari del permesso di soggiorno «carta blu» (cioè in possesso di laurea e specializzazioni) e ai familiari stranieri di cittadini italiani.

Il tribunale ha inoltre bocciato il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria per la formazione delle graduatorie triennali di circolo e di istituto per le supplenze di insegnamento, nella parte in cui prevede il requisito della cittadinanza italiana e comunitaria. E ha anche cancellato la clausola di priorità nell’insegnamento delle lingue straniere assegnata agli insegnanti italiani. Non c’è ragione per cui insegnanti di madrelingua titolati e residenti in Italia non possano accedere alle graduatorie.

L’ordinanza risponde a questa esigenza e adegua la legislazione italiana sull’accesso degli stranieri al pubblico impiego all’ordinamento comunitario, oltre che alle norme che già regolano la partecipazione di cittadini stranieri ai concorsi pubblici necessari per essere assunti nella pubblica amministrazione. Scomposta la reazione della Lega Nord che, con il consigliere comunale a Milano Bastoni, ha ritenuto di interpretare la sentenza come una discriminazione contro gli italiani per i quali esisterebbero «diritti e doveri». «Per gli stranieri in Italia esistono solo diritti (es. immigrati clandestini, profughi, rom, ecc)» ha detto Bastoni. In tutta evidenza, la sentenza precisa in tutt’altro modo lo status giuridico dei cittadini stranieri aventi diritto e uniforma la legislazione italiana rispetto a quelle europee.

Una decisione, quella del tribunale milanese, che potrebbe avere immediate e complicate ripercussioni su scala nazionale, dato che il Miur dovrà procedere al rifacimento delle graduatorie esistenti. Al ministero è stata riordinata la riapertura dei termini per proporre domanda e la conseguente riformulazione della graduatoria. La sentenza potrebbe influire sulla situazione di centinaia di migliaia di docenti precari.

All’origine c’è un ricorso presentato dall’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Avvocati per niente onlus e Cub Sur Scuola Università Ricerca. Le associazioni spiegano le ragioni dell’ordinanza nel contesto della continua violazione delle norme sull’accesso degli stranieri al pubblico impiego. Una violazione che è stata più volte segnalata al Dipartimento della funzione pubblica e all’Ufficio nazionale contro le discriminazioni (Unar).
Per il giudice Tullio Perillo, il bando del Miur è discriminatorio perché riproduce una clausola che prevede («inspiegabilmente» sostiene il giudice) la precedenza degli italiani nelle graduatorie per le supplenze di conversazione in lingua straniera, le uniche alle quali gli stranieri erano già stati ammessi, se pure in posizione subordinata.

È la seconda volta che il Miur compie una discriminazione ai danni di cittadini stranieri. Le associazioni segnalano un bando per il personale non docente modificato senza il ricorso del giudice. «Speriamo che si possa chiudere così la faticosa fase di non applicazione delle norme in tema di accesso degli stranieri al pubblico impiego» hanno spiegato ieri in un comunicato congiunto.

La sentenza permette ai cittadini stranieri di accedere alla fascia più bassa dell’insegnamento, quella dove lavorano gli «apolidi» del precariato scolastico. Con la «buona scuola» il governo Renzi intende cancellarla, abbandonando al loro destino centinaia di migliaia di docenti che hanno – in molti casi – titoli e esperienze pluriennali nella scuola. Una sintetica tassonomia delle categorie può essere utile per descrivere il caos prodotto dallo Stato negli ultimi anni.

Ci sono i docenti «tecnico-pratici» che lavorano anche da quindici anni; i dottori di ricerca all’università in attesa di una chiamata dei presidi; i docenti che non sono rientrati nei criteri stabiliti dai Percorsi Abilitanti Speciali per l’insegnamento (Pas) ma che dalla preiscrizione hanno maturato il periodo di servizio richiesto. Queste, e altre categorie, non hanno spazio nel «patto educativo» promesso da Renzi. Dovranno fare il concorso e aspettare il loro turno. Se mai verrà.

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