Da dove un festival comincia a esserci davvero? Senz’altro quando le singole parti del programma iniziano a intrecciarsi anche al di là delle intenzioni delle singole scelte di programma, e tutta la storia passata della manifestazione si ripensa attraverso le scelte dell’edizione in corso. In ciò già sulla carta, prima che questi intrecci vivano realmente nelle proiezioni degli otto giorni di festival, la 41a edizione delle Giornate del cinema muto si delinea in modo magistrale. Al punto che la banale questione di cosa già si conoscesse e venga solo riconsiderato e cosa sia del tutto inedito viene superata. Il film che apre il festival, The Unknown di Tod Browning con Lon Chaney. è da tempo uno dei grandi classici del cinema fantastico. Per chi lo ricordava tra gli anni 30 e gli anni 60 era tuttavia introvabile. Il geniale affabulatore Henri Langlois raccontò (come rammenta Peter Bagrov nel catalogo) che da tempo si passava alla Cinémathèque française davanti a una pila di rulli con la scritta «inconnu» ma la si riteneva indicazione di film non identificato. Ponendovi un giorno mano si scoprì che la scritta indicava in traduzione francese il titolo del ricercatissimo The Unknown. C’è chi sospetta che il racconto sia inventato di sana pianta da Langlois, ma come non dire: print the legend! Leggenda che non finisce qui: la Cinémathèque aveva ora una copia ma essa era incompleta. Quando a Trieste negli anni 70 Lorenzo Codelli e il compianto Giuseppe Lippi realizzarono la prima, bellissima personale Browning-Chaney ebbero una copia più lunga da Praga che poi circolò in Italia a 16mm e arrivò all’edizione in dvd. Era più lunga ma nemmeno essa era completa. Le due copie sopravvissute però si integrano miracolosamente e la proiezione di Pordenone le ricomporrà in un’inedita integralità invisibile dalla fine degli anni 20. Ed ecco che un film che possiamo vedere in dvd diventerà, nella sua interezza, un grande inedito, giustamente inaugurante il festival. E certo sancirà che Browning non era solo un grande autore del fantastico ma un grande cineasta tout-court, emerso dall’incontro con Griffith e approdato alle collaborazioni con Chaney, Bela Lugosi e i freaks. Ma non dimentichiamo che coprotagonista del film è una giovane e bellissima Joan Crawford, geniale poi nel ricordarlo: «incontrando Chaney scoprii la differenza tra il recitare e l’essere davanti alla macchina da presa».

E, dato che il festival è sempre molto attento alle presenze femminili nella storia del cinema (anche rimosse, come l’anno scrorso Ellen Richter), come non ricordare che la moglie attrice di Browning, Alice, esordì nel cinema con Norma Talmadge cui è dedicata la più ampia rassegna di quest’anno? Quel film purtroppo non ci sarà, va ancora cercato, ma la rassegna «Talmadge» di Pordenone ce lo ricorderà nel fuoricampo. Norma Talmadge, la maggiore di tre sorelle attrici, fu tra esse la più determinata, al punto da produrre film costruiti su se stessa (come la Richter). Qualche anno fa Pordenone offrì uno dei suoi ultimi film e probabilmente il più bello, A Woman Disputed di Henry King, che rivelò anche la presenza da consulente di un misconosciuto cineasta italiano, Marco Elter. E anche il programma di qiest’anno rivelerà un rapporto col cinema italiano, essendo Ghosts of Yesterday una versione non dichiarata del dramma del sandanielese Teobaldo Ciconi cui si ispirarono in ulteriori versioni Mario Almirante e Camillo Mastrocinque (nel recentemente ritrovato e restaurato, dalla Cineteca del Friuli, La statua vivente). Certo Norma Talmadge, come l’omonima Shearer degli anni 30, si affida a un cinema di confezione produttiva del racconto, anche se forse una terza Norma, la Desmond di Gloria Swanson, ben evoca in Viale del tramonto, il suo destino di attrice uccisa dal sonoro. Invece l’italiana Leda Gys, che riscopriremo in Profanazione del notevole Eugenio Perego, seppe lasciare il cinema, nel passaggio tra muto e sonoro, senza apparentemente soffrirne, diventando l’icona della Titanus del marito Gustavo Lombardo e del figlio Goffredo.

A differenza di Constance Talmadge, indimenticabile in Griffith, e di Natalie Talmadge, legatasi nella vita e nel cinema a Keaton, la sorella maggiore s’immerge in un cinema di registi facitori al suo servizio (persino a Henry King si accoppiò Sam Taylor), perciò nel programma attendiamo soprattutto un Frank Borzage che sembra fare eccezione. Ma intanto ricordiamola tra le «maschere di celluloide» (come da stupendo titolo italiano) evocate dal geniale King Vidor in Show People che attorno a Marion Davies la riunisce tra le icone del muto, da Eleanor Boardman a Mae Murray. Tra gli altri eventi del festival si segnalano il The Manxman di Hitchcock dell’ultima sera (in cui esordì Michael Powell come fotografo di scena) e Up in Mabel’s Room di cui già conosciamo il remake sonoro di Allan Dwan, e in cui appaiono due tra le più sensuali attrici americane del muto, la sfortunata Marie Prevost (che ritorna in altra sezione con un altro film) e l’amica Phyllis Haver.

Ma una coppia di attrici stupende si vedrà anche in uno dei film della sezione «canone», Manolescu del russo in esilio Viktor Turjansky (già omaggiato in passato alle Giornate insieme agli altri russi in esilio): con i grandi Ivan Mosjukin e Heinrich George vi appaiono infatti la Brigitte Helm di Lang e Pabst, e la Dita Parlo poi in Vigo, Renoir, ancora Pabst, e Wiene.

Si vedrà anche il primo film sonoro di Laurel e Hardy nella versione italiana di cui gli entusiasti ricercatori di S.O.S. Stanlio e Ollio hanno ritrovato il negativo della sola scena priva della colonna sonora: facile sarebbe stato proiettarlo muto e musicato o in abbinamento con la colonna spagnola che i due comici ridoppiarono in italiano: ma, mancando il sonoro italiano, i curatori ne hanno azzardato una traccia che unisca la gioia del ritrovamento alla segnalazione di ciò che è ancora perduto, sottolineando così che ogni ritrovamento è un work in progress.

Stanlio e Ollio ci riappaiono invece ancora divisi in due film del programma «Ruritania», insieme ad altri comici (Harold Lloyd diretto da Hal Roach e Charley Chase supervisionato da Leo McCarey), come a dare corpo a quel termine di «sovrani da operetta» per cui la Ruritania si sovrappone di volta in volta a Montenegro o Romania, con nel programma anche documentari serbi e sloveni ma tra cui si riconferma la grandezza di Luca Comerio in una ripresa che diventa, da parte del geniale foto-cineasta dei Savoia, una summa di sovrani d’Europa in Montenegro.

E il programma riesce a dare anche una lezione alla Biennale di Venezia su come celebrare al meglio il novantesimo della Mostra di Venezia, proiettando tutti i soli quattro film muti che in quella transizione al sonoro giunsero nei programmi veneziani. E tra essi un film di uno dei paesi che più ha prolungato l’epoca muta, l’Unione Sovierica,. E qui ci s’impone un pensiero agli amici russi che in anni passati venivano alle Giornate. Mobilitati? speriamo comunque vivi, dato che non riusciamo a raggiungerli. Se Yuri Tsivian e Peter Bagrov sono da anni in America, certo felici di essersi lasciati alle spalle il Gosfilmofond, ad altri che vivono in Russia possiamo dedicare solo un pensiero e un invito a sopravvivere. Perché le Giornate, lo si è visto più volte, sono anche un sensore del presente. E il presente è spesso quello che è.

Non ci resta che accennare alle tante altre rivelazioni del programma: dal Pathé-Baby al cinema delle avanguardie, con i ritrovati Epstein, Gance e il polacco Europa trafugato dai nazisti come Sperduti nel buio e a differenza di questo ora riemerso. E come non ricordare qui, fuoricampo, Jean-Luc Godard che rispose a Edoardo Bruno: vengo in Italia se mi fate vedere Sperduti nel buio. Attendi con noi, Jean-Luc…
I lettori hanno già il timore di essersi persi in un labirinto, come Laurel e Hardy in Noi siamo le colonne? Ma allora non resta che venire a Pordenone, e vi si troveranno anche le uscite.