Populisti (che disprezzano il popolo)
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss
Negli ultimi anni sono circolate molte analisi fin troppo raffinate – e anche sin troppo compiacenti – sugli atteggiamenti politici che vengono definiti populisti. Naturalmente è giusto comprendere perché tali atteggiamenti attirano consenso, e domandarsi dove sbagliano coloro che, rifuggendo dal populismo, finiscono col disinteressarsi delle condizioni reali in cui vive, e spesso soffre, il popolo. Laddove questa parola, tanto necessaria alla politica quanto ambigua e fonte di tragici fraintendimenti, significa in realtà gli strati meno abbienti e con meno autonomo potere di rappresentare con efficacia interessi, desideri, visioni del mondo.
Ma si dice troppo poco che l’aspetto più sgradevole, anzi proprio insopportabile, del modo di agire e di parlare dei populisti, è in realtà il profondo disprezzo per il popolo, cioè le singole persone, uomini, donne, giovani, anziani ecc., a cui si rivolge la politica, ritenute incapaci di avere una visione ragionevole, e persino sorretta da buoni sentimenti, della realtà che le circonda.
L’ultimo caso è la discussione sulla legge per lo Ius soli. Credo che basterebbe una modesta capacità di maneggiare informazioni e dati al riguardo per convincere cittadini e cittadine che si tratta di una buona cosa, che non c’entra nulla con l’attuale allarme per gli sbarchi e le «invasioni» di stranieri, e che riconoscere identità e diritti a chi è nato in Italia e ci vive da anni con la famiglia, studia nelle nostre scuole, non può che aiutare l’integrazione, gli scambi, la convivenza, e quindi anche la sicurezza di tutti.
Solo poco tempo fa – stando ai sondaggi – la maggioranza del popolo italiano era d’accordo. Ora – sempre prendendo per buoni i sondaggi – questa maggioranza si è molto ridotta, ma tanto basta per convincere non solo la Lega e la destra, ma anche il partitino «popolare» di Alfano a rinnegare il voto positivo già dato alla Camera. E, cosa più grave, il Pd non riesce nemmeno a ottenere questa doverosa conferma dall’alleato che sembra restare preferito non solo in Sicilia, ma anche per le prossime elezioni nazionali. Con il sospetto che prevalga nel partito di Renzi – nonostante qualche voce diversa – l’idea che tutto sommato sia meglio così.
Il terrore di perdere qualche voto, o l’ingordigia di strapparne qualcuno in più, è più forte di quello che mi sembra il dovere morale – per un politico come per chiunque – di dire pubblicamente cose il più vicine possibile alla verità dei fatti, e qui del vero significato di una legge.
Ricordo l’impressione che mi fece, anni fa a Genova, un comizio elettorale della Lega in cui era intervenuto l’allora ministro Tremonti. Uomo colto, che si diletta di analisi critiche dell’economica globalizzata (incantando anche più di un sinistro confuso), oggi unito a Sgarbi nel nome di un qualche «Rinascimento», che disse solo poche frasi-slogan di completa connivenza con gli spiriti più xenofobi di quella platea, conquistando alcuni osanna.
Naturalmente ci sono modi di ignorare, e in un certo senso disprezzare, il popolo, anche da parte di chi rifiuta, per lo più, comportamenti e linguaggi definiti populisti.
Penso alla recente riunione della sinistra di Pisapia e di Bersani, con 19 maschi e una sola donna. Per quanto rischiosamente ambiguo sia il concetto di popolo, una cosa è certa: la metà, e forse più, è composta dal sesso femminile.
Proporsi di guidare una sinistra popolare con queste premesse non è un po’ come pretendere di far partire un’automobile con due sole ruote su quattro?
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